Tra le varie componenti che entrano a far parte del vivere in sintonia
con l’ambiente naturale e sociale secondo il bioregionalismo il
rapporto uomo-animali è l’argomento a me più “congeniale”.
Sono veterinaria e mi occupo principalmente di allevamenti,
allevamenti di animali tenuti per la produzione di alimenti di origine
animale.
L’alimentazione, nell’ambito della RBI è sempre stato un argomento
molto dibattuto e con opinioni diverse, come è giusto che sia: su
questa Terra è impensabile che tutti abbiamo lo stesso sentire nei
riguardi delle diverse componenti.
L’Italia è una terra di tradizioni contadine e di ricchezza di
prodotti sia di origine vegetale che animale: le eccellenze agricole
sono fonte di guadagni, ancora, e di ricerca di sempre nuovi mercati,
dato che, a causa della crisi economica e della concorrenza c’è la
necessità di nuovi sbocchi commerciali. Siamo infatti, in questo
settore in una situazione quasi di sovrapproduzione, almeno per quel
che riguarda i prodotti tipici, dovuta alla necessità di ammortizzare
i costi con un’ incentivazione della spinta produttiva, tramite la
meccanizzazione, la selezione di razze sempre più produttive, a
scapito però di altri valori, come la robustezza, la resistenza alle
malattie e la longevità degli animali.
Nel bioregionalismo si ricerca invece un legame del cibo con il
territorio, si suppone che il cibo prodotto localmente e che non ha
subito conservazione e trasporto sia più in sintonia con l’organismo
che lo deve ricevere. Ovviamente c’è anche un aspetto “ecologico” in
questo: i trasporti e la conservazione degli alimenti sono attività di
per sé antiecologiche, comportano consumo o spreco di risorse
combustibili fossili sia per il funzionamento degli autoveicoli che
delle apparecchiature di refrigerazione.
Alla base del disequilibrio che secondo me si è creato nel settore
dell’allevamento, soprattutto nelle zone a diffusione dell’allevamento
intensivo come qui da noi, ci sono fattori economici: una volta, fino
a 60 anni fa circa, un’azienda agricola era costituita da un
appezzamento di terra su cui venivano coltivati diversi prodotti (e la
rotazione delle colture era sempre applicata) e che allevava animali
più che altro come integrazione dell’attività, come risorsa di concime
e come integrazione all’alimentazione della famiglia o delle famiglie
che vivevano nell’azienda.
Mangiare un po’ di carne solo una volta alla settimana o anche meno
era una cosa normale, qualche uovo o frittata entrava anche questo
nella dieta con parsimonia e solo nel periodo di deposizione naturale
delle uova da parte delle galline. Spesso era presente nella azienda
anche un porcile con uno o pochi maiali che venivano macellati in
pieno inverno per farne salumi da consumare nel resto dell’anno.
Poi la carne diventò uno status symbol: mangiare carne era segno di
ricchezza o perlomeno di essere benestanti, e quindi, con la ripresa
economica del dopo-guerra aumentò la richiesta di cibi di origine
animale, in primis della carne. I piccoli allevamenti annessi alle
aziende agricole non furono più sufficienti a soddisfare le richieste
e questo fece intravedere la possibilità di guadagni insperati e
allora dai con gli allevamenti costituiti da un numero sempre maggiore
di capi, sempre più meccanizzati, sempre più disumani, con animali
selezionati a produrre sempre di più fino ad arrivare ad esempio a
polli sempre più pesanti tanto che gli arti non riescono a sostenere
il corpo o vacche sempre più produttive in latte tanto che dopo due
parti sono già distrutte o per un verso o per l’altro (mastiti,
ipofecondità, lesioni podali), tanto che sono da scartare, quando non
muoiono o devono essere macellate in stalla.
Il sistema poi implode su se stesso in quanto la speranza di maggiori
guadagni, ha fatto moltiplicare queste realtà con un aumento della
produzione che per un po’ è stata in equilibrio con i consumi, e,
seguendo le leggi del mercato, queste attività hanno consentito lauti
guadagni, ma la concorrenza poi ha avuto il sopravvento e i ricavi
dalla produzione hanno continuato a mantenersi sugli stessi livelli,
mentre i costi tutti i fattori di produzione aumentavano (mangimi,
manodopera), lasciando ai produttori margini sempre più risicati.
Caso tipico in cui al peggioramento della qualità della vita degli
animali, sempre più sfruttati, ha corrisposto un peggioramento della
qualità della vita dell’allevatore, costretto a lavorare sempre di più
e sempre con minori soddisfazioni.
Nella RBI si è molto parlato di regime alimentare, alcuni esponenti
vegetariani o vegani per motivi etici si battono per un abbandono
totale e immediato del consumo di alimenti di origine animale, altri
ritengono che un consumo moderato di prodotti di animali allevati
rispettando il loro benessere sia possibile e auspicabile.
Personalmente non ritengo ci sia un modus che debba andare bene per
tutti, ma sicuramente ritengo che dobbiamo tutti prendere coscienza
che l’allevamento intensivo non è etico ed è antiecologico: in un
mondo dove miliardi di persone muoiono di fame, continuare ad allevare
animali consumando risorse che potrebbero nutrire direttamente il
genere umano, non è più possibile; inoltre la sofferenza ingenerata in
questi esseri viventi che hanno avuta la fortuna- sfortuna (destino)
di vivere la loro esistenza su questa Terra assieme a noi non può più
essere ignorata: non possiamo più ignorare di esserne responsabili,
anche indirettamente, così come non possiamo più ignorare di essere,
come specie, responsabili, della rovina in cui stiamo mandando il
nostro pianeta con tutte le nostre attività, non mi riferisco
ovviamente solo all’alimentazione, ma a tutti i settori del nostro
vivere.
Prendere coscienza delle conseguenze del nostro modo di vivere è il
primo passo per poter dare alla Terra una speranza di sopravvivenza a
lungo termine cercando di fare in modo per quelle che sono le
possibilità di ognuno di noi, di lasciare ai nostri figli e nipoti un
mondo meno inquinato e più in armonia di quello di oggi. Ritornare ad
un sistema di vita semplice, in cui i rapporti umani e la vita nella
natura, immersi nel mondo umano, animale e vegetale, ci può dare tutto
quello di cui abbiamo bisogno senza necessità di consumi superflui e
sprechi che comportino un ulteriore deterioramento di quel paradiso
che ci era stato donato e che noi, esseri umani, abbiamo rovinato per
il nostro sconfinato egoismo.
Caterina Regazzi – Rete Bioregionale Italiana