La parola “Bioregionalismo” è un neologismo che contraddistingue, più ancora che un progetto istituzionale, un modo di pensare e studiare che muove dall’esigenza profonda di riallacciare un rapporto sacrale con la terra, un rapporto che implica rispetto, ammirazione, timore e che inibisce ogni forma di rapina e di spreco.
Questo rapporto si conquista a partire dalla volontà di capire il luogo in cui viviamo, in cui la nostra esistenza ha luogo, e si sviluppa quando, a partire da un luogo, si cerca di identificare un’area che presenta caratteri di relativa omogeneità sia rispetto alla realtà fisica del territorio, sia rispetto alle comunità umane che la abitano e a tutte le altre forme di vita che la caratterizzano.
Una bioregione non è un recinto di cui si definiscono stabilmente i confini ma una sorta di campo magnetico distinguibile dai campi vicini solo per la intensità decrescente delle caratteristiche che formano la sua identità.
Questa natura flessibile e problematica spiega perché un programma così ambizioso e coinvolgente non abbia ancora al suo attivo esperienze istituzionali esemplari. Di fatto più che un programma politico il bioregionalismo tenta di introdurre nella società moderna un modo di pensare e di “appartenere” che potrebbe gradualmente rivelarsi rivoluzionario, potrebbe cioé (sulla base di riflessioni che riguardano il benessere e l’ utilità pratica evidente di certe decisioni) produrre una reazione a catena capace di ridimensionare il potere incontrastato della tecnica e dell’economia globalizzatrice che oggi ha il primato rispetto a qualunque altra esigenza umana.
Questa natura flessibile e problematica spiega perché un programma così ambizioso e coinvolgente non abbia ancora al suo attivo esperienze istituzionali esemplari. Di fatto più che un programma politico il bioregionalismo tenta di introdurre nella società moderna un modo di pensare e di “appartenere” che potrebbe gradualmente rivelarsi rivoluzionario, potrebbe cioé (sulla base di riflessioni che riguardano il benessere e l’ utilità pratica evidente di certe decisioni) produrre una reazione a catena capace di ridimensionare il potere incontrastato della tecnica e dell’economia globalizzatrice che oggi ha il primato rispetto a qualunque altra esigenza umana.
Che senso può avere – è lecito domandarsi – un modello di azione bioregionale in un mondo in cui sempre più la popolazione si accumula nelle grandi conurbazioni, dove lo stesso concetto di luogo entra in crisi rispetto ai rituali di una società che nega il valore della memoria? In un certo senso il bioregionalismo è una fede e come tutte le fedi non si misura con l’immediatezza ma con il flusso del tempo e alimenta la sua speranza di successo facendo assegnamento su processi in atto di lunga durata, non meno concreti di quelli che derivano dal primato dell’economia.
Tra questi da una parte il processo di degrado dell’ambiente che impone ed imporrà all’umanità svolte decisive, dall’altra i sintomi dell’affermazione di un nuovo paradigma scientifico aperto a riconoscere (attraverso la visione olistica e l’approccio sistemico) la complessità delle scienze della natura, liberate dal fascino di una razionalità chiusa e dal mito di un adempimento finale, e che la conoscenza dovrebbe raggiungere per riconoscersi signora dell’universo. Si sono aperte -come scrive Prigogine- al dialogo con la natura che non può più essere dominata con un colpo d’occhio teorico, ma solo esplorata; al dialogo con un mondo aperto al quale noi stessi apparteniamo, alla costruzione del quale partecipiamo.
Il modo di pensare bioecologico d’altronde non nega il significato e il valore delle città ma ne contesta il mito dell’autosufficienza e della insularità, vedendo in esse il frutto di un mutevole delicato rapporto con la sua “regione” e il resto del mondo. Vivere in sintonia con la propria città diventa allora conoscere l’insieme di relazioni che ne definiscono il ruolo, spesso parassitario, rispetto al territorio, impegnandosi in un riequilibrio necessario per la sua sopravvivenza.
Il bioregionalismo è allo stesso tempo molto semplice e molto complicato. Molto semplice, perché le sue componenti sono presenti e manifeste intorno a noi, proprio dove viviamo… Molto complicato perché è in contraddizione con i punti di vista convenzionali dei nostri giorni. Per cui è fin troppo facile considerarlo limitato, provinciale, nostalgico, utopistico o semplicemente irrilevante. Ci vorrà un po’ di tempo prima che la gente capisca che il familiarizzarsi con il luogo non è nostalgico né utopistico ma piuttosto un modo ‘realistico’, ed alla portata di tutti, per creare possibilità pratiche ed immediate, capaci di rovesciare la tendenza al disastro ed all’incoscienza.
Paolo Portoghesi – Davanti all’ingresso del Circolo Vegetariano VV.TT.
(Intervento tenuto al Convegno su “Bioregionalismo ed Economia Sostenibile” – Organizzato dal Circolo Vegetariano VV.TT. a Calcata (Vt) il 10 maggio 2003)