Alcuni potentati economici, ben indirizzati e determinati, hanno -dagli ultimi sessanta anni in poi- obbligato il sistema agricolo a dipendere dai fertilizzanti chimici e dai veleni erbicidi. Pian piano tutte le falde acquifere saranno inquinate e l’acqua diventerà un bene preziosissimo e l’agricoltura, che sino a pochi anni fa era fonte di nutrimento per l’uomo, diventerà la causa della sua rovina. Inoltre la detenzione di sementi brevettate e la trasformazione dell’ambiente porterà a carestie indicibili ed allo sterminio di intere popolazioni.
A chi interessa tutto ciò? Non è solo un meccanismo di sfruttamento economico, dietro c’è una sorta di piano strategico per il dominio del mondo.
Ma vediamo come è cominciato questo strazio. Tutto ha inizio con la vittoria del sistema consumista americano che ha esportato in tutto il mondo il criterio alimentare basato sulla separazione del modello agricolo naturale. Tale scissione è legata all’aumento del consumo di carne.
Allontanati gli animali dalla campagna e rinchiusili negli allevamenti intensivi, avendo cioè creato una frattura fra il mondo contadino tradizionale che viveva in simbiosi con la presenza di animali nei campi, ed avendo trasformato sia la produzione agricola che l’allevamento in scomparto produttivo industriale, si è creata la prima separazione in quel delicato organismo vitale che aveva sino alla metà del secolo scorso consentito il mantenimento di un delicato equilibrio: uomo, natura, animali.
Scisse le due metà di un’unica cellula, ovvero quella della compresenza e simbiosi fra vita animale e vegetale. Si è potuto procedere al successivo passo alienante: l’incremento nell’allevamento di animali da carne con sistemi industriali e il contemporaneo sviluppo agricolo essenzialmente basato sul metodo delle monoculture. Per nutrire gli animali non più
compartecipi del sistema naturale si è passati alla creazione di apposite coltivazioni preposte al loro ingrasso, con alimenti che gli animali non avrebbero mai trovato in natura, essendo precedentemente abituati e predisposti al consumo di erbe sul campo.
Non solo gli animali si nutrivano di erbe spontanee ma contribuivano alla concimazione diretta dei fondi ed al riposo di terreni che subivano così un ciclo di diverse utilizzazioni e riposo. Il problema delle cosiddette erbe infestanti non esisteva, tutto rientrava in un normale procedere della vita naturale.
Imprigionati gli animali negli allevamenti e dovendo approfittare della capacità produttiva degli stessi terreni ecco che giocoforza è stato necessario ricorrere all’utilizzo di concimi artificiali e di diserbanti. Inoltre questo processo si è ingigantito mano a mano che
le necessità di carne aumentavano, dovendo inoltre soddisfare le esigenze di una numero crescente di persone che entravano nel meccanismo consumistico.
E l’accesso a quantità di cibo mai prima ottenuto con i sistemi tradizionali ha contemporaneamente fatto
incrementare la presenza umana sul pianeta.
Più gli umani aumentano, più carne si consuma, più servono terreni agricoli, più si tagliano le foreste, più si utilizzano concimi chimici e veleni.
Ricordo alcuni anni fa il problema che era subentrato nell’isola di Montecristo, in seguito all’aumento massiccio della popolazione di roditori immigrativi. I topi avevano invaso l’isola distruggendo ogni altra forma vivente, mangiando le uova di uccelli, consumando ogni risorsa alimentare… finché il loro numero era tanto cresciuto da causare un’implosione…
La natura si aggiusta da sé (se non intervenisse l’uomo).
Probabilmente è quanto avverrà anche alla specie umana. Anche perché le fonti di inquinamento e di distruzione dell’habitat non sono solo quelle sinora menzionate. Vanno aggiunte le distruzioni deliberate per scopi di guerra, l’uso indiscriminato di risorse sotterranee (idrocarburi e minerali) e conseguenti sconquassi tellurici, la polluzione atmosferica causata dall’uso massiccio di combustibili fossili, l’eradicazione delle foreste, etc.
La piaga umana sta impestando il pianeta sino alle midolla.
E come se non bastasse la produzione del cibo sta passando sempre più in mani private, sta diventando un affare economico controllato accuratamente da multinazionali, le stesse che compartecipano alla finanza mondiale, e queste multinazionali hanno in mano la produzione e possono quindi creare crisi alimentari pilotate per mantenere un controllo reale sulla popolazione del globo. Le carestie sono ormai un’arma in mano ai potentati economici.
Tra l’altro l’inquinamento fa si che l’acqua potabile sia diventata una rarità ed una fonte di ulteriore speculazione. Su un pianeta composto da tre quarti di acqua ecco che l’acqua manca….
Ma andiamo un po’ per ordine. Parliamo dell’utilizzo dei combustibili fossili che ebbe inizio per merito dei petrolieri americani, i quali una volta cominciato il bussinnes lo hanno esportato in tutto il mondo, condizionando lo sviluppo industriale all’uso del petrolio. Il petrolio ormai serve al funzionamento di tutto il sistema, ma intendiamoci non è in se stesso il progresso e le invenzioni tecnologiche e meccaniche che creano inquinamento, a parte l’aspetto dell’eccesso consumistico, bensì il loro funzionamento, l’energia alla quale questi mezzi attingono.
Eppure bruciare combustibili fossili a fini energetici ed industriali è risaputo che contribuisce alla formazione di anidride carbonica e questa a sua volta procura un cambiamento climatico. Non si può azzardare nemmeno una previsione circa gli effetti futuri del turbamento provocato dall’uomo nel ciclo naturale.
Ma tornando al problema ambientale causato dall’agricoltura industriale. Vediamo che dal 1900 ad oggi l’azoto usato come fertilizzante è aumentato di mille volte. L’interferenza dell’agricoltura sui cicli naturali è superiore a quella causata da ogni altro ciclo, compreso quello del ricambio atmosferico in seguito all’aumento di CO2, e questo perché l’azoto finisce nelle falde acquifere, nei fiumi, nei laghi e nei mari, e fa aumentare la crescita di alghe e piante che soffocano le acque e le rendono morte per eutrofizzazione.
Inoltre se a ciò si aggiunge l’uso obbligato di diserbanti sparsi a piene mani sulle coltivazioni ecco che scopriamo che, con la nostra stupida mania di guadagno, stiamo avvelenando l’acqua del pianeta e procurando la fine di un ciclo vitale indispensabile al mantenimento della vita.
Aggiungiamoci poi l’inquinamento delle acque causate dall’allevamento industriale e dal sistema fognario umano e vediamo finalmente che noi stessi ci stiamo scavando la fossa, che noi stessi stiamo strozzandoci con le nostre mani.
E chi ci da questa capacità? Chi chi spinge a farlo? Le famose multinazionali e degli enti finanziari che controllano la scienza e il ciclo alimentare e tutto ciò che si muove sulla faccia della terra. E di chi sono queste multinazionali?
Beh questo non posso dirvelo altrimenti mi taccereste di…
Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana
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Commento di Caterina Regazzi: “Secondo me, dopo una prima fase di
euforia distruttiva e di menefreghismo nei confronti dell’ambiente,
sta subentrando una certa coscienza, che, pur essendo ancora il
sistema in mano alle multinazionali, sta facendo si che ci sia un
minimo dico un minimo di maggiore attenzione. Le acque credo siano
oggi meno inquinate di venti anni fa ed anche le terre sono meno
bombardate di antiparassitari e diserbanti. Mi è capitato già più
volte, nel corso del mio lavoro, intervistando allevatori che sono
anche agricoltori (fortunatamente) di sapere che usano pochissimi o
niente prodotti sui campi e anche pochi sugli animali…
Il problema sementi e ogm lo sento invece come molto urgente da
affrontare non so quanto l’Italia ancora potrà resistere a non usar
gli ogm e le sementi potranno salvarsi solo grazie a pochi buoni
volontari come Teodoro Margarita, si, ma per gli ortaggi e per qualche
coltura minore… ma il grano, il mais, i cereali che attualmente
vengono coltivati su grosse estensioni, sono destinati ad essere
coltivati solo a partire da sementi “brevettate”. O c’è qualche altra
soluzione? Si possono brevettare le sementi tradizionali? A che
costi?”
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Integrazione/commento di Michele Meomartino