Il significato di “bene comune” nell’ottica bioregionale e dell’ecologia profonda…
Basterebbe chiedersi, quando si prende una posizione o si fa una scelta, se quella scelta porta o meno al bene comune, il nostro, quello della nostra famiglia quello della nostra famiglia allargata, che è l’umanità, e di Madre Natura nel suo insieme dei viventi. Comprendendovi gli aspetti sociale, culturale e spirituale.
Quale dovrebbe essere il fine ultimo, il più ampio possibile, di un bioregionalista (ma senza l’esasperazione di un -ismo)? Può essere la salvaguardia del pianeta, il riequilibrio della vita in questo mondo che è stato tanto snaturato, sfruttato, sporcato dall’uomo.
E allora prendo come esempio di questo discorso le scelte alimentari: agricoltura e allevamento biologici e riduzione del consumo dei prodotti di origine animale… A questo fine è utile considerare l’effetto positivo che avrebbe per l’ambiente una riduzione del consumo dei prodotti di origine animale, sia per motivi di salute, che per motivi ecologici (minore consumo o spreco di risorse come acqua, terra, effetto serra, minore inquinamento in tutte le fasi della catena produttiva).
Ovviamente ognuno poi ha le sue tendenze e c’è chi ci aggiunge un motivo etico, di rispetto assoluto della vita animale in tutte le sue forme, e può portare la sua visione tranquillamente, ma come possono coesistere, nello stesso gruppo, queste diverse visioni?
Molti di noi vivono in uno stato di benessere economico, ed abbiamo di più di quello che ci necessita e dopo averlo sfruttato all’inverosimile il pianeta, per emendarci dalle colpe della nostra specie, vorremmo tutelare la natura e le altre specie animali in modo assoluto. Ma le forme della vita sono tante e gli ambiti bioregionali differiscono fra loro! Pensiamo ai popoli che vivono in zone dove la vegetazione è assente per tutta o buona parte dell’anno e la fonte di cibo irrinunciabile è solo quella animale.
Forse tornando a vivere tutti nella foresta equatoriale, dove con i frutti che la natura offre potremmo tranquillamente sopravvivere, oppure possiamo “ADATTARCI”. L’evoluzione è adattamento. L’adattamento della specie umana, nel corso della sua storia è andato a scapito dell’ambiente che si è impoverito di risorse per la nostra avidità: possesso di tanto oltre il necessario, consumismo, un sistema produttivo perverso basato sull’inquinamento e sulla distruzione!
Ma come ripartire?
Bisogna approfittare di questo momento cruciale per portare avanti scelte radicali, che coinvolgono aspetti sociali importantissimi, riportando le attività umane entro un limite accettabile, come la riduzione degli orari di lavoro, la cancellazione di lavori inutili, od il mantenimento di privilegi goduti da persone in posti di potere che ne traggono lauti guadagni, innecessari e dannosi alla comunità nel suo complesso.
E se, come specie umana, o come una parte della specie umana siamo consapevoli di un “progresso” malsano a cui siamo giunti, il successivo passo evolutivo, per il mantenimento della vita sul pianeta, non è così difficile da capire. Sarà forse un “passo indietro” verso una vita più sobria.
Concludo con una frase del saggio indiano Ramana Maharshi, che riassume un po’ quello che dovrebbe essere secondo me lo spirito su cui improntare le nostre vite: “Una società è l’organismo; i suoi membri costituenti sono gli arti che svolgono le sue funzioni. Un membro prospera quando è leale nel servizio alla società come un organo ben coordinato funziona nell’organismo. Mentre sta fedelmente servendo la comunità, in pensieri, parole ed opere, un membro di essa dovrebbe promuoverne la causa presso gli altri membri della comunità, rendendoli coscienti ed inducendoli ad essere fedeli alla società, come forma di progresso per quest’ultima.”
Caterina Regazzi
Referente per Rapporto Uomo Animali della Rete Bioregionale Italiana