Il rapporto tra uomo natura animali ed il bioregionalismo…
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Carissimo Paolo D’Arpini, che purtroppo non conosco ma che sarei felice di conoscere, condivido in pieno che l’uomo adora ridurre in schiavitù e prigionia (auto-imprigionando quindi poi se stesso, per ovvia conseguenza ogni tipo di essere vivente, in primis gli animali, condivido il “Riflettiamo su ciò!” che chiude l’articolo (*), ma chiedo come risolvere?
Essendo impossibile una vita “libera ” per cani gatti eccetera, in questa società, l’uomo (non l’accaparratore seriale di animali che si circonda di numero indecente di soggetti) se lo accasa, e così lo costringe alla stessa vita che fa fare ai figli, (4 mura, orari dettati dal consumismo e da obblighi di lavoro del capo famiglia per la sopravvivenza di tutti ecc…..)
Ma fin qui ci siamo, credo, ma poi?
Invito tutti ad una mobilitazione per sensibilizzare per ottenere leggi che impongano le sterilizzazioni, non solo di cani (solo le femmine ) dei canili, o le gatte delle colonie, ma di tutti, riducendo così il rischio randagismo di una buona percentuale… Riflettiamo, ma non basta. Agiamo.
chi volesse unirsi alla battaglia Enpa Viterbo per le sterilizzazioni può contattarci: più saremo più faremo il bene reale dei nostri amici animali.
Chiarle Mauro, presidente E.N.P.A. Viterbo
Mia rispostina:
“L’analisi del sig. Chiarle Mauro, relativo agli animali da compagnia, da un punto di vista prettamente teorico potrebbe anche avere un senso, però non si capisce quale scopo voglia egli ottenere con la sua proposta.
L’estinzione degli animali da compagnia? Il ritorno di alcuni esemplari alla selvaticità ed alla fuga dal contesto umano? Purtroppo questi animali abituati per millenni alla convivenza con l’uomo non potrebbero tornare alla selvaticità se non con problematiche di convivenza (vedi l’esempio dell’orsa Yoga o dei cani rinselvatichiti che fanno branco per attaccare greggi ed anche umani). Sì, però, questa evenienza potrebbe configurarsi nel caso di un crollo della civiltà umana, dovuta a guerre, ad esempio, o a degrado ambientale, ma non credo possa rappresentare una “soluzione”. Un po’ come è avvenuto con il consumismo che sta conducendo la nostra comunità non solo al declino etico e morale ma anche alla distruzione dell’habitat e di conseguenza al crollo dell’intelligenza e delle solidarietà sociali e delle capacità di sopravvivenza. Purtroppo come l’uomo è regredito lasciandosi andare per pigrizia e desiderio di comodità a questo stato di cose, che comporta la distruzione delle risorse, l’inquinamento, la perdita di nervo e di adattabilità alle nuove situazioni che verranno in conseguenza, occorre invertire il processo attuando pian piano quella “decrescita” che consentirebbe il recupero delle qualità perse. Quindi il problema non è solo quello di diminuire drasticamente la presenza di “pets” nella società umana ma anche capire come questo bisogno abbia indebolito in primis la nostra specie e poi anche gli animali utilizzati allo scopo. Andare sempre avanti se la strada è sbagliata porta a nessun posto, occorre tornare indietro…
E come? Secondo la mia esperienza di vita bioregionale, non eliminando il rapporto con gli animali ma portando quel rapporto su un piano di pariteticità e di “disintossicazione” dalle necessità emozionali, sostitutive dei sani rapporti tra umani. Tutto questo è possibile solo cambiando il nostro atteggiamento nei confronti della Natura e degli animali, attraverso un sano “interspecismo” e la considerazione che la nostra vita non è diversa dalla vita che ci circonda. Ogni specie ha un suo ruolo nell’esistenza globale e non si può ritenere che un “aggiustamento utilitaristico” possa essere deciso sulla base di una “filosofia”. Questa la visione bioregionale e questa visione ha un valore ed un significato non se imposta da leggi ma se vissuta attraverso una personale crescita ed una propagazione cuore a cuore… indifferentemente dal luogo in cui si vive e dalle condizioni economiche e sociali. Anche fare delle esemplificazioni “sommarie” è superfluo perché le situazioni e le necessità di questo ritorno alla vita collettiva possono avere tempi e modi diversi.
Ognuno ha il suo posto nel contesto della vita e non si può decidere a priori di usare lo stesso metro per misurare le relazioni tra tutti gli esseri viventi e non. Possiamo osservare l’atteggiamento delle diverse specie fra loro e capire da ciò il significato del termine “interspecismo” bioregionale.
Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana
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Nota in calce:
Scrivevo in un precedente articolo (**) “L’uomo in questo ultimo secolo è divenuto il peso più grande per il pianeta Terra, siamo troppi ed inquiniamo tremendamente e rubiamo spazio al selvatico. Tutto ciò è innegabilmente vero, non posso però proporre soluzioni finali e sperare nell’armageddon, come molti illusi fanno, per risolvere il problema del mantenimento di una civiltà umana degna di questo nome.
Nell’ecologia profonda si indica sempre la condizione presente come base di partenza per il successivo cambiamento o riparazione…. considero però che questa società non potrà durare a lungo ed è bene che vi siano delle “nicchie” di sopravvivenza, dalle quali ripartire con nuovi paradigmi di civiltà in cui mantenere un equilibrio fra uomo-natura-animali (dice una poesia: o si salvano o si perdono insieme).
Anche se non è attualmente il mio compito specifico quello “di salvare il mondo” (”sed ab initium”) sento che è giusto evocare questa necessità. Siamo sul filo del rasoio e solo la vita potrà indicarci la direzione, al momento opportuno. L’idealismo non serve a nulla! Non vorrei esprimermi come il papa di una nuova religione, non ho assunto delle regole e dei comandamenti, le mie lettere son solo proiezioni di pensiero, aggiustamenti mentali per individuare nuove vie di uscita. Infatti a che servono i “principi” nella vita quotidiana, nella sopravvivenza quotidiana del giorno per giorno, salvando il salvabile senza rinunciare alla propria natura?….”
(P.D’A.)