Hybris. Il mito delle crescita indefinita ed il crollo della civiltà umana…
In “Contro la dittatura del presente” e ne “La maschera democratica dell’oligarchia”, Gustavo Zagrebelsky dice che viviamo nel periodo dell’elogio del giovanilismo e della velocità. Spesso i vecchi si sentono fuori luogo. Il vecchio diventa quello che non sa. I giovani non concedono requie: c’è una corsa costante ad uno sviluppo e ad una produttività, per cui bisogna allungare il passo, ma la meta si allontana sempre di più. I vecchi sono lenti e pigri. Lui stesso fu definito “gufo pigro”.
Ma da un lato emarginazione, rinuncia e senso di fallimento e accelerazione dall’altro, sono entrambi aspetti negativi.
I vecchi lenti, ma con cultura ed esperienza, non possono accampare diritti, pur se siamo nell’epoca dei “diritti umani”, che dovrebbero essere di tutte le età.
Vediamo poi la storia dell’Isola di Pasqua, che dimostra che la crescita è una miccia a fuoco lento. Fu scoperta dagli europei nel 1722. Possiede centinaia di megaliti giganteschi con in cima cilindri colorati in rosso. Sembra che alla fine del primo millennio fosse una terra molto fiorente, ricca di risorse naturali, acqua, foreste, uccelli, pesci, altri animali. Quando vi arrivarono gli europei trovarono una terra desolata, con pochi individui geneticamente tarati. La società aveva distrutto il proprio futuro, con le foreste che fornivano il legno per le barche e a difesa dalle tempeste. Ci furono guerre tra i clan che sfociarono anche nell’antropofagia. Ed i tronchi umani di pietra diventavano sempre più imponenti. Il più alto fu l’ultimo ad essere costruito. Erano un simbolo di potenza, ma per scavarli, trasportarli ed issarli occorrevano alberi e fibre vegetali. Da qui la deforestazione. Alla fine gli umani volevano andarsene, ma non c’erano più alberi per costruire le barche.
Il parallelismo tra quanto avvenuto nell’Isola di Pasqua ed il mondo moderno è agghiacciante.
Il mondo è una polveriera.
Jacques-Yves Cousteau ha proposto una Carta dei diritti delle generazioni future; partendo da quello che lui aveva visto in quanto a depauperamento degli oceani, ecc. per la cieca convenienza immediata. I diritti dei futuri sono i doveri dei presenti. Per secoli i figli si sono considerati debitori dei padri, oggi sono i padri che devono sentirsi debitori dei figli. La felicità degli attuali non può essere a scapito di quella dei futuri. Bisogna ricordare certi detti “Ama il prossimo tuo come te stesso” e “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.
Ma c’è un problema giuridico: il diritto soggettivo presuppone un soggetto presente. Il male inferto ai futuri non presuppone un leso diritto da parte dei presenti (giuridicamente). Però c’è un dovere morale dei presenti nei confronti dei futuri.
Simone Veil aveva scritto Il radicamento. Preludio a una dichiarazione di doveri nei confronti degli esseri umani, una dichiarazione universale della responsabilità. Ma quanto è importante il potere decisionale di giovani e meno giovani? Si dice spesso: i giovani hanno in mano il futuro, lasciamo decidere a loro.
Ma c’è un problema di responsabilità, come diceva Weber, c’è una responsabilità delle convinzioni (etica delle convinzioni) ed una responsabilità o etica delle conseguenze. Per i giovani è più congeniale la prima (“sono convinto di un’idea e la porto avanti”), per i vecchi lo è la seconda…. quella delle conseguenze, con la loro esperienza ne hanno viste tante. in più hanno figli e nipoti e se ne preoccupano, i giovani no.
Vittorio Foa, grande vecchio disse: “Non è vero che i vecchi abbiano la conoscenza e l’esperienza, anche i giovani ce l’hanno, solo sono diversi e l’una può essere utile all’altra”.
Ma quante età ci sono? Si parla di terza età (giovinezza, maturità, vecchiaia). Secondo la filosofia indù sono 4: l’età in cui si impara, l’età in cui si insegna, l’età in cui si va nella foresta e l’età in cui si vive di elemosina. Zagrebelsky ritiene di essere nella terza di queste età. Ma le età di questo mondo, del nostro mondo occidentale sono ormai due: un’eterna giovinezza e il crollo.
Ce n’è abbastanza per riflettere, direi!
Caterina Regazzi