Il bioregionalismo è una forma attuativa dell’ecologia profonda. Nel senso che l’ecologia profonda analizza il funzionamento delle componenti vitali e geomorfologiche ed il bioregionalismo riconosce gli ambiti territoriali in cui tali componenti si manifestano.
Per fare un esempio concreto: il funzionamento generale dell’organismo vivente viene compreso attraverso il riconoscimento e lo studio delle sue funzioni vitali e dei modi in cui tali funzioni si manifestano ed il bioregionalismo individua gli organi specifici che provvedono a tale funzionamento e le correlazioni fra l’organismo e l’insieme degli organi che lo compongono, descrivendone le caratteristiche e la loro compartecipazione al funzionamento globale. Per cui non c’è assolutamente alcuna differenza fra ecologia profonda e bioregionalismo, sono solo due modi, due approfondimenti, per comprendere e descrivere l’evento vita.
Nel tracciato che segue ho inserito come terzo elemento componente “l’osservatore”, cioè l’Intelligenza Coscienza che anima il processo conoscitivo. Ovvero la capacità osservativa e lo stimolo di ricerca e comprensione della vita che analizza se stessa. Anche questo processo di auto-conoscenza, ovviamente, è parte integrante del processo individuativo svolto nell’ecologia profonda e nel bioregionalismo. A volte questa intelligenza intrinseca nella vita è anche detta “Biospiritualità” – E cosa si intende per biospiritualità? Biospiritualità è l’espressione, l’odore sottile, il messaggio intrinseco, che traspira dalla materia tutta. Il sentimento di costante presenza indivisa.. la consapevolezza dell’inscindibilità della vita, riconoscibile in ogni sua forma e componente, partendo dal “soggetto” percepiente. La conoscenza “suprema” significa essere consapevoli che tutto quel che “è” lo è in quanto tale. Perché l’esistente è uno, non può esserci “altro”…
Altro aspetto importante del discorso è quello della Solidarietà al Tutto (anziché Umana) per far trasparire una visione meno antropocentrica e più rivolta al rispetto dell’Uno e Molteplice che ci circonda ed in cui siamo.
Nel discorso dell’ecologia va incluso anche quello della Biopolitica per trasmettere un messaggio che la Politica deve essere inserita sempre in Bios cioè nella Vita, che è un qualcosa che non appartiene solo all’uomo. E poi l’Economia Partecipativa, poiché l’economia deve tornare ad essere a misura delle cose reali e non dei mercati subliminali di borse e speculatori e noi dobbiamo tornare a ridiventare fruitori attivi (ecco il senso di Partecipazione) di questo mezzo di scambio che è nostro.
Ricordo un proverbio che mi citavano i vecchi contadini di Calcata: “il meglio è nemico del bene”. Ed è proprio così, arrabattandoci e cercando di migliorarci agli occhi del mondo non riusciamo a percepire il bene che già c’è in noi. Ed in fondo cosa significa essere perfetti? Semplicemente essere quel che si è senza remore né rimpianti, senza cercare l’approvazione di qualcuno, perché se siamo quel che siamo evidentemente ci compete. Da ciò nasce spontaneità e naturalezza.
Altrimenti è la società umana, nella sua interezza come specie, che va a rotoli, perché non può funzionare come un meccanismo, non è fatta di semplici ingranaggi e di numeri (di razze distinte). Ma ognuno deve seguire la propria “equazione personale”. La verità, nella nostra epoca, NON può trionfare. E’ perciò che mi limito a parlare di testimonianza….
Meditazione in cammino su Ecologia profonda, Bioregionalismo, Spiritualità Laica e Semantica del linguaggio
Cercando di dare una spiegazione consona dei concetti relativi ai neologismi -quali ad esempio: bioregionalismo, ecologia profonda, spiritualità laica- dobbiamo ricorrere alla semantica ed alla glottologia, poiché non esiste neologismo che non trovi origine in altre parole simili. Forse non sarebbe nemmeno necessario trovare nuovi termini se la parola originaria, eventualmente abbinata ad un aggettivo, potesse dare il senso di quanto si vuole descrivere.
Ad esempio usando il neologismo “bioregionalismo” si evoca un’immagine persino più riduttiva del reale significato che viene sottinteso con questa parola. Poichè nell’individuazione di un ambito “bioregionale” non si tiene conto esclusivamente del vivente bensì dell’insieme inorganico, morfologico, geografico, geologico del territorio prescelto, ivi compresi -ovviamente- gli elementi botanici e zoologici che vi prosperano. Insomma si esamina l’omogeneità dell’area esaminata e definita “bioregione” e lì si traccia una leggera linea di demarcazione (non divisione) per individuarne i “confini”. Va da sé che questi confini sono semplicemente teorici, poichè l’organismo bioregionale della Terra è in verità un tutt’uno indivisibile. Potremmo per analogia definire le bioregioni gli organi dell’organismo Terra.
Andando avanti nel significato originale della parola “ecologia”, rispetto alla sua consimile “ambientalismo” è già delineata una differenza d’intendimento, pur che l’esatta traduzione di “ecologia” è “studio dell’ambiente”. Mentre in “ambientalismo” si presume il criterio della semplice conservazione. Allorché si aggiunge al termine “ecologia” l’aggettivo “profonda” ecco che si tende ad ampliarne il significato originario integrandovi il concetto di ulteriore ricerca all’interno della struttura ambientale. Insomma si va a scoprire il substrato e non si osserva solo la superficie, la pelle dell’ambiente.
Lo stesso dicasi per la parola spiritualità e la sua qualificazione “laica”. In questo caso si cerca di dare una connotazione “libera” alla spiritualità comunemente intesa come espressione della religione. La spiritualità è l’intelligenza coscienza che pervade la vita, è il suo profumo, e non è assolutamente un risultato della religione, anzi spesso la religione tende a tarpare ed a nascondere questa “naturale” spiritualità presente in tutte le cose.
Trovo questo discorso sul valore del linguaggio e del riconoscimento e legittimazione del suo percorso nella storia, estremamente cogente ed utile alla causa ecologista -ribadisco “ecologista” poiché non mi sembra un termine diminutivo a meno che non vogliamo fare delle parole un termine di paragone per le nostre idee personali- la glottologia, e soprattutto la capacità di evocare concetti attraverso le parole e di chiarirne il significato, non ha nulla a che vedere -secondo me- con le discussioni sul filo di lana caprina, se tali temi entrano o meno nel filone ecologico “del profondo”. Infatti non si può risalire ad un “fondatore” (inteso come inventore del neologismo utilizzato) della pratica bioregionale, dell’ecologia profonda o della spiritualità laica. In quanto detti termini descrivono qualcosa che è sempre esistito.
La glottologia e la semantica hanno ben diritto di entrare nel discorso ecologista, soprattutto per chiarire le azioni connesse all’ecologia, ecologia profonda, e dir si voglia.. Pur tuttavia questi concetti evocati non sono nuovi all’uomo ed i neologismi spesso vengono usati, per fare un favore alla politica del copy right, ed è solo una concessione alla “politica”, appunto.
Ecologia profonda è un fatto, una realtà, e non può essere descritta in termini filosofici se non astraendoci dal contesto dell’ecologia stessa. Vivendo nei fatti e non amando le diatribe dialettiche ma amando dire “pane al pane e vino al vino” debbo confessarvi che non mi piace sentirmi ristretto in un contesto qualsivoglia. Non amo le etichette non amo nessuna coercizione morale, politica, ideologica o religiosa. Se si vuole fare dell’ecologia profonda una base per esprimere le norme di una “nuova religione” con tanto di sacerdoti titolati all’interpretazione e con tanto di bibbia decisa a tavolino dai sapienti, non sono d’accordo. Non che con questo intenda abbandonare l’ecologia profonda, che è la pratica sincera ed onesta della mia intera esistenza, semplicemente mi dissocio dal novero di chi ritiene di essere depositario delle “regole” dell’ecologia profonda e sente di volerle imporre agli altri come un codice legislativo.
I tempi delle dittature intellettuali sono conclusi, almeno per me, e quindi preciso per l’ennesima volta che: la Rete Bioregionale Italiana, per l’attuazione dell’ecologia profonda, del bioregionalismo e della spiritualità laica e per il vivere armonico, amorevole gentile e solidale sulla Terra, non è semplicemente un’etichetta bensì una descrizione di un modo di vivere nella nostra società ed in natura. Gli incontri della Rete sono pertanto occasioni di condivisione collegiale del sentire e della pratica quotidiana, nello spirito conviviale e semplice dell’avvicinamento fra amici e fratelli.
L’anima bioregionale ed ecologica delle forme viventi, il senso dell’identità e della sapienza.
Da diversi anni sono approdato alla constatazione che il bioregionalismo e l’ecologia profonda sono due aspetti della stessa idea, due facce.
Il bioregionalismo si occupa dell’individuazione degli organi geografici e biosistemici della terra mentre l’ecologia profonda ne deduce i meccanismi funzionali, comprendendone le inter-connessioni e le reciproche dipendenze. Questo va bene per spiegare gli aspetti materiali ed organici del sistema vita ma in questa descrizione ho sempre sentito la mancanza dell’aspetto trascendente, o spirituale. Infatti la coscienza non può essere spiegata solo in termini di consequenzialità fisica, deve -e sicuramente ha- possedere una sua propria natura e realtà. E lo dimostra il fatto che l’osservato non può essere scisso dall’osservatore, l’immagine non può mai sostituirsi alla sostanza.
L’aspetto psichico non basta a completare il quadro della vita dandogli un interezza. Perciò alla ricerca di una matrice comune, a se stante ed allo stesso tempo onnicomprensiva, mi sono interrogato ed ho indagato sulla natura di colui che si interroga. Ho chiamato questo riflettere sulla riflessione: Spiritualità Laica.
Spiritualità Laica è un neologismo, come lo stesso Bioregionalismo e l’Ecologia profonda, non esisteva come concetto onnicomprensivo della percezione di sé finché un giorno di 15 anni fa (sarà stato il 1996 circa) non fu coniato dall’amico giornalista Antonello Palieri.
Accadde durante un incontro al Circolo vegetariano di Calcata, si parlava appunto di bioregionalismo ed ecologia profonda e si cercava di individuare un modo descrittivo per l’aspetto “spirituale”. Io avevo suggerito la parola “spiritualità della natura” (facendo anche riferimento al luogo così denominato che avevo dedicato alla meditazione e riflessione sulla vita naturale: il tempio della Spiritualità della Natura). Ma andando avanti nell’estrinsecazione dei concetti e delle realtà connesse a questa spiritualità naturale ci si rese conto che veniva a mancare la fisionomia concettuale, tipica del ragionamento umano, che poteva qualificare intellettualmente il processo conoscitivo della coscienza, in termini spirituali.
Quello che si voleva descrivere è il senso della spiritualità naturale, insita nell’uomo come in ogni altra creatura e cosa. Una spiritualità antecedente la religione e l’ideologia e che comunque integrasse la capacità speculativa della mente nel descrivere le sue funzioni astrattive, ma riconoscitive dell’aura sottile che permea tutte le cose e la mente stessa.
Insomma l’uomo doveva starci dentro come la natura, perciò Antonello suggerì: “Insomma potremmo definirla una spiritualità laica…”… Ed il termine risvegliò immediatamente in me e nei presenti una comprensione innata e diretta. Sì questa spiritualità è sicuramente “laica”, in quanto non appartiene al mondo della religione , di ogni religione e di ogni teismo o ateismo, ma appartiene direttamente ed incontestabilmente ad ognuno di noi. Inserendo in quel “noi” ogni essere senziente ed ogni materia organica ed inorganica componente.
Nacque così la Spiritualità Laica come sostantivo, come nome.
Ma un nome è solo un nome e non può sostituirsi all’essere che così viene evocato. Infatti come diciamo acqua o water od eau in varie lingue, con ciò non si muta la sostanza indicata. Me ne avvidi più tardi allorché, approfondendo le mie ricerche sulle radici dell’ecologia profonda e del bioregionalismo e della spiritualità laica, scoprii che questi concetti erano chiaramente espressi in varie culture. Erano presenti nella civiltà matristica del neolitico, erano individuati nella filosofia Nonduale dell’India e nel Taoismo cinese. Insomma -com’è ovvio- non può essere l’uso di un neologismo a santificare un processo pre-esistente.
Con queste premesse vorrei qui indicare alcuni aspetti “pratici” della cosiddetta “spiritualità laica”, aspetti che riguardano la corresponsione nei processi vitali e sociali. Ovviamente la accettazione di una tale spiritualità implica la non interferenza diversificativa con i processi naturali della vita, implica anzi un accompagnamento consapevole dei processi di crescita che la vita manifesta. Infatti la tendenza scientista e religiosa a mantenere le cose sotto controllo ingenera una società schematizzata in modelli prefissati, stabiliti per legge. Questo atteggiamento coercitivo ostacola l’evoluzione spontanea dello spirito umano e persino il lavoro produttivo verso il benessere materiale. Lo osserviamo con il proliferare della burocratizzazione in cui il registrare diviene più importante dell’azione stessa.
Tuttavia nell’attuale angoscia riguardante la sovrappopolazione, l’inquinamento, lo squilibrio ecologico ed i disastri potenziali e reali causati dalle guerre e dalla spoliazione delle risorse del pianeta, solo di rado si riconosce che il sistema di governo, il metodo del controllo, è la matrice stessa dell’autodistruzione a cui andiamo incontro. Il presupposto primo di tale sfacelo è la considerazione che non ci si può più fidare di una naturale e spontanea capacità dell’uomo di uniformarsi alla natura, sempre si presuppone che “il controllo” sulla natura e sull’uomo debba essere l’unico metodo di funzionamento. Finché continueremo a far uso della forza fisica (scienza) e morale (religione) per cercare di migliore il mondo (e noi stessi) vanificheremo ogni spinta naturale al riconoscimento intelligente dell’andamento vitale. Mancherà il buon senso delle piccole cose che contano rispetto ai giganteschi problemi auto-creati nella società del benessere economico e consumista.
Insomma dobbiamo compiere il primo passo verso noi stessi, aldilà del contesto sociale o della ideologia in cui crediamo, concentrando la nostra attenzione sulle cose che possono essere fatte, per noi stessi e da noi stessi, nell’immediato presente.
Per cominciare riponiamo fiducia nelle nostre personali capacità innate di riconoscerci nella grande espressione dell’esistenza. Questo non significa abbandono della comunità, anzi una tale consapevolezza corrisponde alla riscoperta dei valori della comunità, valori basati sulla propria autoresponsabilizzazione nei confronti di noi stessi -in primis- e successivamente verso i nostri consimili (i viventi nella loro totalità). Questo non può essere un atteggiamento sentimentale, bensì operativo, organico, definitivo e totale. Comprendente i vari piani dell’andamento vitale senza esclusione di modi e senza eccessi.
Qui parlo anche di “generosità umana” come la definiscono in Cina i taoisti ed anche i confuciani ed i buddisti, una generosità che non è semplice “benevolenza” (o nonviolenza) bensì la confacente espressione della propria natura umana, ivi compresa la capacità (o coraggio) di manifestare opposizione alla prevaricazione ed alla strumentalizzazione del paradigma dell’ecologia profonda, del bioregionalismo e della spiritualità laica. In quanto la “sostanza” non può essere “descrizione” e la summa teoretica non può superare la pratica.
Ecologia profonda come sogno e come pratica
Come abbiamo visto, strettamente parlando, da un punto di vista delle finalità, la spiritualità laica e l’ecologia profonda affondano il loro esistere nella coscienza. L’uomo si è interrogato sulle forze della natura e sulla vita e questo interrogarsi ha prodotto la spiritualità, l’ecologia profonda è un approfondimento in senso materiale di questa ricerca. Entrambi gli approcci partono dall’esistente, dal modo di percepire noi stessi e la realtà che ci circonda, il primo è un approccio in senso metafisico mentre il secondo prende in esame il fisico ma non v’è differenza fra i due aspetti se non nel modo descrittivo.
Nell’ecologia profonda come nella spiritualità naturale si sottintende un ’quid’ che impregna le trame della vita. Tale ’quid’ è stato descritto come sorgente di tutte le cose, indipendentemente dal chiamarlo ’spirito’ o ’forza vitale’. Dall’interrogarsi iniziale siamo giunti a tutte le filosofie gnostiche, alle religioni d’oriente come pure alle grandi religioni monoteiste in cui, sia pur con angolazioni differenti, si inneggia al grande mistero della vita, questa è anche l’esigenza dell’ecologia che sempre tiene in conto il delicato equilibrio dell’insieme delle manifestazioni vitali. Spesso mi son trovato a descrivere l’esigenza di estrinsecazione spirituale dell’uomo come la nascita della prima virtualizzazione.
Attraverso il pensiero e la speculazione intellettuale è infatti sorta la virtualità, l’immaginare, il presupporre vero sulla base di un pensiero (di un credere) e questa proiezione, una ’vis’ umana specifica, è forse presente anche nel resto dei viventi, chissà? Ad esempio nelle teorie del karma si descrive la vita individuale degli esseri come un percorso evolutivo che parte da una scintilla dell’intelligenza che poi si differenzia in miriadi di forme, a volte contrapposte, che son però strettamente collegate l’una a l’altra ed in continua ascesa verso la stessa finalità. Una unità questa che non è mai venuta meno anche durante il cosiddetto “percorso karmico” ma per via dell’illusione, ovvero la virtualità del pensiero, appare disgiunta ed imperfetta (e quindi perfettibile?). L’ecologia profonda, dal punto di vista materiale, è un aiuto a capire che non c’è nel contesto generale della vita un dietro od un avanti che non sia strettamente consequenziale, che non compartecipi della stessa sostanza di base e che perciò è impossibile scindere, pena l’estinzione stessa della vita.
Ed ora una domanda: come faremmo a vivere su questa Terra se tutti decidessimo di ritirarci in eremitaggio, di ritornare alla terra come si dice in gergo, senza immediatamente sconvolgere, distruggere definitivamente, il già precario equilibrio di questo pianeta? La Terra ospita ormai diversi miliardi di persone, perlopiù riunite in aree urbane, è pur vero che parecchie specie animali sono in netta diminuzione ma per contro molte di quelle addomesticate dall’uomo (essenzialmente per scopi voluttuari o di carenza affettiva) superano in numero gli umani stessi e come gli umani che vivono nelle città anch’essi son concentrati in grandi allevamenti.
Se ognuno di noi dovesse andare a vivere in campagna, immaginando una società egualitaria, avremmo forse a disposizione non più di duecento metri di terreno a testa senza contare le zone desertiche, i ghiacciai, le alte montagne, se in più volessimo portare con noi anche i nostri “pets” dovremmo dividere quel piccolo spazio con cani e gatti, se poi volessimo mangiar carne dovremmo dividere ulteriormente la nostra casa con pecore, mucche, conigli, maiali, etc. Si fa presto ad immaginare la calca che si verrebbe a creare nei nostri duecento metri quadrati di terra, non solo ma come potremmo produrre in quel piccolo orticello abbastanza cibo per tutti i membri della nostra personale comunità rurale? Va da sé che questa tipo di scelta è impensabile per la massa come pure, per altre ragioni persino più serie, è impensabile che la vita possa continuare a lungo sul pianeta se continuiamo a sfruttare le risorse per soddisfare le esigenze di consumo parossistico dei grandi agglomerati urbani.
I lemming, quel popolo di roditori che in caso di sovraffollamento periodicamente emigrano in massa, avrebbero già intrapreso il loro viaggio finale (che come tutti sappiamo finisce nelle gelide acque del mare del nord) per riequilibrare la natura. In parte un tale comportamento autodistruttivo sta avvenendo anche nella nostra società, con l’aumento delle guerre, dei suicidi, delle perversioni, della stupidità. Ma non è ancora sufficiente a trovare quell’equilibrio naturale di sopravvivenza e questo perché l’uomo ha l’arroganza di ritenersi un essere “superiore” alle altre specie e perciò ogni soluzione deve comprendere la continuazione del gioco attualmente in programma e cioè la fissità della nostra specie come dominante.
Ma a questo punto re-inserisco il concetto di “spiritualità naturale o laica”. A dire il vero questa spiritualità non può assomigliare punto alla precedente spiritualità religiosa ma deve necessariamente tener conto del contesto vitale in se stesso, ovvero dell’ecologia. Una spiritualità ecologica in cui non si perseguano scopi immaginari (paradisi, inferni, etc.) ma in cui ci si occupi esclusivamente del presente stato dell’esistenza. Una presa di coscienza ’individuale’ di come è possibile il riequilibrio al contesto della vita senza ritenere che la nostra sia una funzione di controllo, di dominio (o di sudditanza ad una ipotetica divinità altra). Ognuno di noi dovrebbe già da ora affrontare il suo personale corso di sopravvivenza sapendo che tutto quello che noi rubiamo oggi dovrà sicuramente essere pagato domani, questo nel caso del sovrappiù, mentre se il nostro respirare, mangiare, vivere rientra nell’insieme del vivere, respirare, mangiare di ogni altro essere vivente potremmo finalmente goderci la vita, senza aver colpe da espiare, senza dover abbandonare il nostro modo di vita urbanizzato e fortemente sociale che -evidentemente- salvo il famoso riequilibrio di cui abbiamo detto, ha contribuito alla fioritura di questa bellissima nostra specie.
In questa fase della storia millenaria dell’uomo abbiamo privilegiato il secondario, il superfluo, a scapito del primario, ovvero il cibo, l’acqua, l’aria. E’ importante per noi esseri umani integrati analizzare le ragioni di questo sviamento. Uno sviamento che senz’altro è stato necessario per scoprire il valore di tesi astratte come l’arte, la scrittura, l’estetica, l’etica, ma che non può continuare ad occupare tutto lo spazio possibile del nostro esistere. Ad esempio dobbiamo essere consapevoli dello sforzo e del significato profondo insito nella ricerca e produzione del nostro cibo quotidiano.
Descrivo ora l’excursus storico sulla nostra evoluzione. La storia dell’uomo è molto semplice e rispecchia i quattro mutamenti fondamentali della vita. L’uomo nella sua corsa evolutiva compie quattro salti stagionali. All’inizio egli succhia il latte, alla base del latte c’è la verdura e la carne e ciò diviene il suo cibo, poi ancora oltre c’è la terra ed ecco l’uomo che la divora ma oltre la terra c’è lo spirito e l’uomo nutrendosi di “spirito” completa un altro ciclo di spirale nella scala dell’evoluzione.
Questa simbologia può essere tradotta così: il latte rappresenta il momento in cui l’umanità si pone reverente verso la nutrice, la natura, che lo accudisce e lo sostiene nel suo grembo (potremmo dire che corrisponde al momento del “paradiso terrestre”); subentra poi la capacità di auto-sostenersi e di ricorrere a tecnologie appropriate per ricavare da se stessi il nutrimento (corrisponde al momento della fondazione patriarcale); ecco quindi il momento del massimo sviluppo tecnologico e sociale in cui l’uomo tende a divorare, a consumare, persino la terra che lo sostiene (il momento della decadenza consumistica e dell’idolatria scientifico religiosa); infine viene il momento della coscienza indifferenziata, l’uomo vien toccato dallo “spirito” si compenetra in esso e ritrova la sua unità primigenia (corrisponde al quid originario, alla consapevolezza di Sé), il ciclo si ripete passo dopo passo. E’ evidente che questo momento storico è segnato da un grande sbalzo fra il massimo del materialismo ideologico o religioso a quello di un ritorno alla consapevolezza non duale.
Come possiamo affrontare condizioni o contingenze apparentemente diametralmente opposte? Innanzi tutto c’è da considerare una cosa: la spinta evolutiva nell’uomo non è indotta da ideologie di massa, il pensiero di massa serve solo al mantenimento della compattezza psicofisica della specie, l’indice del cambiamento è sempre e solo rappresentato da forme pensiero, pseudopodi, che si irradiano verso possibili sbocchi evolutivi, questi pseudopodi non rappresentano che una piccolissima percentuale della massa, si tratta di minoranze. Le due minoranze attualmente in antitesi, nel “programma” di sviluppo dell’intelligenza umana, son rappresentate da una parte dall’accentramento individuale del potere (lobby ideologiche ed economiche auto-foraggianti) e dall’altra da una rete smagliata di piccole persone che emanano forme pensiero collegate al tutto (una sorta di sincretismo universale).
Questi cicli o percorsi storici si manifestano allo stesso tempo sia nell’arco di una sola vita individuale che in stagioni o onde storiche, ere cosmiche. Mi sembra che questo momento di transizione, fra una condizione e l’altra dell’umano, sia dedicato all’aspetto distruttivo di ogni sovrastruttura di pensiero, un azzeramento dei canoni precostituiti. Infatti oggi come non mai la pulsione verso l’uscita dagli schemi fissati provoca uno stato sismico mentale (scossoni psichici) al corpo-massa dell’umanità. Basterebbe sapere che, come avviene nel processo realizzativo del sé, ogni singola cellula del corpo sociale umano deve essere toccata e deve essere in grado di percepire individualmente la reale possibilità evolutiva in corso.
E mentre la tendenza egocentrica agisce sulla massa con meccanismi di aggregazione forzata (vedi la massificazione informativa) al contrario “l’aumento” della coscienza avviene sui piani emotivi individuali. Dobbiamo essere consapevoli di ciò quando, come precursori, proponiamo un indirizzo bioregionale che non potrà certamente usare i mezzi della controparte ma deve comunque comprenderli organicamente e da lì evolversi. Solo così può sciogliersi il senso di differenza e la coscienza può ri-trovare il suo spazio. L’interno dell’uomo è ancora tutto un mondo da esplorare ma anche l’esterno è altrettanto infinito ed inconoscibile. Per questo si ripropone sempre la via di mezzo, la moderazione, come unica strada possibile per la continuità della specie. La consapevolezza non-duale integra non divide. E’ per questo che nell’ecologia del profondo e nella spiritualità laica si narra del ritorno alla Terra, ascoltandone il suo messaggio, pervenendo così a quell’integrazione con essa. Godendo della silenziosa gioia di vita, qui ed ora. Una gioia che non ha costrutto, nessuna causa, nessun meccanismo da soddisfare, nessun possesso, solo è…. Si chiama esistenza.
Ma attenzione: tale visione non ipotizza il ritorno al primitivismo bensì individua nelle attuali condizioni della società avanzata l’occasione di un riequilibrio. La continuità della nostra società, in quanto specie umana, richiede una chiave evolutiva, una comprensione globale, per mezzo della quale aprire la nostra mente alla consapevolezza di condividere con l’intero pianeta (forse sarebbe meglio dire con l’universo) l’esperienza vita. Questa è la scienza dell’inscindibilità della vita. Ne consegue che anche l’economia umana può e deve tener conto di questa visione per avviare un progresso tecnologico che non si contrapponga ma che sia in sintonia con i processi vitali.
La scienza e la tecnologia in ogni campo di applicazione dovranno rispondere alla domanda: “E’ ciò ecologicamente e spiritualmente compatibile?” I macchinari, le fonti energetiche, lo smaltimento dei sottoprodotti, come pure la socialità e la cultura, dovranno essere realizzati in termini di sostenibilità. Se questo stimolo si manifesta nella mente umana allora sarà necessario un rapido processo di riconversione e riqualificazione industriale ed agricola che già di per se stesso sarà in grado di sostenere l’economia. Infatti la sola “riconversione ecologica” favorirà il superamento dell’attuale stato di “enpasse” impartendo grande spinta allo sviluppo economico e sociale. Una grande rivoluzione comprendente il nostro far pace con il pianeta e con gli esseri viventi che lo abitano.
Appendix of thoughts on the common belonging of Man-Nature-Animals
“Animals have feathers, horns, fangs or claws, they fly in heavenly skies or they crouch and run; we cannot exclude that they may have human intelligence”.
When Huang-ti fought against Yen-ti in the Pan-ts’uan country side, he lined up bears, wolves, leopards, tigers, vultures, pheasants, hawks, sparrow-hawks and they were his standards.”
“Yao ordered K’uei to tune the music. When the jade instruments were hit, the animals would gather and dance and the phoenix would come and listen to the nine tunes of Shao. This demonstrates that with sound one can tame the animals”.
“So intelligence is common both to animal and man. Of course in appearance and sound, animals are different from man, but do means to communicate and understand each other exist? There is nothing that the wise did not know or which they never achieved to understand: that is why they were always able to attract and tame animals.”
“We all know that the intelligence of animals is the same as that of man, and that they have the same desire to live.”
“In the most ancient times, animals lived together with man. When man started creating emperors and kings, they were frightened and drew away.”
(Lieh-tze, tanslated from the original Chinese by Giuseppe Tucci
Aspetti spirituali dell’Ecologia profonda.
Non ti posso donare il mio cuore e la mia anima, perché sono già Tue. Così, ti ho portato uno specchio. Guardati e ricordami.
(Rumi)
|
La spiritualità della natura, o biospiritualità, è uno degli aspetti portanti della nuova consapevolezza ecologista profonda e bioregionale. Ma occorre dire che la sacralità del creato è un aspetto riconosciuto anche in varie fedi religiose, persino nella fede cristiana, soprattutto nel misticismo (sia in quello primitivo che in quello francescano) in cui prevale la consuetudine di ritirarsi in grotte, boschi e deserti in stretta comunione con gli elementi naturali e con il mondo animale. In questo modo viene riconosciuta la bellezza del creato e la grandezza del Creatore.
Aspetti pagani erano presenti persino nella religione ebraica, sia pur talvolta condannati come ad esempio l’adorazione della vacca sacra durante la traversata del Sinai, oppure riconosciuti e facenti parte della tradizione come avvenne presso la setta degli Esseni che vivevano in strettissima simbiosi con la natura e con i suoi aspetti magici, avendo sviluppato anche la capacità di trarre il loro nutrimento dal deserto, un grande miracolo questo considerando che erano persino vegetariani.
Il rispetto e l’adorazione della natura, definito dalla chiesa cattolica (un po’ dispregiativamente) “panteismo” è uno degli stimoli da sempre presenti nell’uomo, tra l’altro questo sentimento panteista è alla base dell’excursus evolutivo della specie.
Ciò mi fa ricordare di una storiella, che amo spesso raccontare, sull’origine della specie umana. Ormai è certo che ci fu una “prima donna”, un’Eva primordiale. L’analisi del patrimonio genetico femminile presente nelle ossa lo dimostra inequivocabilmente. Mi sono così immaginato una donna, la prima donna, che avendo raggiunto l’auto-consapevolezza (la caratteristica più evidente dell’intelligenza) ed avendo a disposizione solo “scimmie” (tali erano i maschi a quel tempo) dovette compiere una opera di selezione certosina per decidere con chi accoppiarsi in modo da poter avere le migliori chance di trasmissione genetica di quell’aspetto evolutivo. E così avvenne conseguentemente nelle generazioni successive ed è in questo modo che pian piano dalla cernita nell’accoppiamento sono divenute rilevanti qualità come: la sensibilità verso l’habitat, l’empatia, la pazienza, la capacità di adattamento e di gentilezza del maschio verso la prole e la comunità, etc. etc. Pregi che hanno portato la specie verso la condizione “intelligente” che conosciamo (o conosceremmo se nel frattempo non fosse subentrata una spinta involutiva).
Purtroppo in questo momento storico, in seguito all’astrazione dal contesto vitale e alla manifestazione della spiritualità in senso religioso metafisico (proiettata ad un aldilà ed ad uno spirito separato dalla materia) molto di quel rispetto (e considerazione) verso la natura e l’ambiente e la comunità è andato scemando, sino al punto che si predilige la virtualizzazione invece della sacralità vissuta nel quotidiano. Ed in questo buona parte della responsabilità è da addebitarsi ai credo monoteisti ed alla nuova fede del consumismo materialista. Ma quello che era stato scacciato dalla porta ora rientra dalla finestra, infatti la scienza sta riscoprendo i miti, le leggende e le divinità della natura descrivendole in forma di “archetipi”.
All’inizio della civilizzazione umana, nel periodo paleolitico e neolitico matristico, la sacralità era incarnata massimamente in chiave femminea, poi con il riconoscimento della funzione maschile nella procreazione tale sacralità assunse forme miste maschili e femminili, successivamente con i monoteismi patriarcali fu il maschile che divenne preponderante. Ora è tempo di riportare queste energie al loro giusto posto e su un totale piano paritario. Anche se già in una antica civiltà, quella Vedica, questa parità era stata indicata, come nel caso della denominazione(maschile) “Surya” che sta ad indicare l’identità del sole in quanto ente, che viene completato dall’aspetto femminile “Savitri” che è la capacità irradiativa dell’energia solare. E noi sappiamo che fra il fuoco e la capacità di ardere sua propria non vi è alcuna differenza.
Ma il filone biospirituale sta riacquistando forza anche nella moderna teologia cattolica, soprattutto attraverso la spinta di Thomas Berry, che si è spinto ad affermare che la “passione del Cristo” in questa era è rappresentata da Madre Terra violentata ed offesa da uno sfruttamento senza limiti.
“The objective universe has structure, is orderly and beautiful. Nobody can deny it. But structure and pattern, imply constraint and compulsion. My world is absolutely free; everything in it is self-determined. Therefore I keep on saying that all happens by itself. There is order in my world too, but it is not imposed from outside. It comes spontaneously and immediately, because of its timelessness. Perfection is not in the future. It is *now*” (Nisargadatta Maharaj)
Paolo D’Arpini
Estratto dal libro: “Riciclaggio della memoria. Appunti, tracce e storie di ecologia profonda, bioregionalismo e spiritualità laica” di Paolo D’Arpini