Disincagliarsi dalla rete dell’illusione…
Ma cominciamo da alcuni dati storici. Buddha è nato circa 2500 anni fa nel nord dell’India, figlio di un piccolo regnante, egli ad un certo momento lasciò il lusso della reggia per cercare di alleviare la sua e dei suoi consimili “sofferenza del vivere”.
Ci sono stati molti Buddha e molti ce ne saranno ancora. Il buddismo non riconosce alcuna autorità per accertare il vero, tranne l’intuizione del singolo. Allo stesso tempo ognuno deve subire le conseguenze dei propri atti e trarne ammaestramento, mentre aiuta i propri simili a raggiungere la stessa liberazione.
I saggi buddisti fungono da esempio ma in nessun modo sono intermediari tra la realtà ultima e l’individuo. E’ praticata la massima tolleranza verso ogni religione e filosofia, perché nessuno ha il diritto di intromettersi nel viaggio del suo prossimo verso la meta.
Il buddismo è una scienza spirituale e un’arte di vivere, ragionevole e pratica e onnicomprensiva. Esso esercita un fascino per l’occidente perché non ha dogmi, soddisfa al tempo stesso la ragione e il cuore, insiste sulla necessità di fare affidamento su se stessi e d’essere tolleranti verso le altrui opinioni, abbraccia scienza, filosofia, psicologia, etica e arte. La tradizione buddista comprende varie nozioni che non hanno analogo nell’eredità filosofica dell’Occidente. La fisica moderna (quantica) è forse il luogo dove questo incontro è più visibile, filosofi della scienza e fisici hanno trovato gli scambi concettuali ed epistemologici con il buddismo potenzialmente preziosi, questa linea di mutua esplorazione può offrire alla scienza moderna motivi di crescita.
Il buddismo non è una religione in senso stretto, in quanto priva dell’idea di un dio-persona e quindi di una teologia.
Il buddismo si fonda sulla convinzione che la sofferenza e il mal-di-esistere derivano dall’attaccamento alla vita e dall’illusione individuale e collettiva. Desiderio e sofferenza sono intrinsecamente connessi e il buddismo tende all’estinzione dell’individualità, allo smascheramento della natura illusoria.
“Spezzato il circolo vizioso, conquistata la libertà dal desiderio, la fiumana, prosciugata, non fluisce più; la ruota, infranta, più non rivolve. Questa, solo questa, è la fine del dolore.” (Buddha Sakyamuni, in Udana, VII, 2)
Questa è davvero la massima più ostica per gli occidentali. Però, se ci si pensa bene, quanta verità racchiude e sempre più evidente.
Un continuo trapassare da un oggetto all’altro, anzi ormai da un sostituto spettrale a uno successivo, senza tregua, “individui” soggetti all’oggetto come a una chimera, consumati e annullati nel mulinello delirante. Il “pieno appagamento” non può esistere, perché niente e nessuno lo può pagare-comprare. E, d’altra parte, è inconcepibile dentro la macchina-vortice, che gira e vive solo in base all’insoddisfazione sempre rinnovata, inesausta.
I monaci che intendono praticare questa disciplina, per raggiungere la salvezza, devono attenersi alle seguenti norme morali: la retta parola, la retta azione, il retto comportamento. Queste azioni possono essere estese anche ai laici che intendono porre, a motivi fondamentali della loro vita, la tolleranza e l’amore. Ma dopo aver appreso le tre verità con costanza e devozione, la quarta verità indica al discepolo la via da seguire per raggiungere la salvezza, il Nirvana, anche attraverso le indicazioni contenute nel “Nobile ottuplice sentiero” (vedi in calce).
“Chi si aggrappa alla mente non vede la verità che sta oltre la mente. Chi si sforza di praticare il Dharma non trova la verità che è aldilà della pratica. Per conoscere ciò che è aldilà sia della mente che della pratica bisogna tagliare di netto la radice della mente e, nudi, guardare; bisogna abbandonare ogni distinzione e restare tranquilli.” (Tilopa)
“Nobile Ottuplice Sentiero”
I Retta visione
II Retta intenzione
III Retta parola
IV Retta azione
V Retta sussistenza
VI Retto sforzo
VII Retta presenza mentale
VIII Retta concentrazione