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Conoscere il luogo per sviluppare le capacità di sopravvivenza…

 
Bioregionalismo Treia •: Amarcord bioregionale di Caterina Regazzi: "Storie di  Treia e su Treia, con nonna Annetta, i tagliolini in brodo, Andrià,  l'eredità... ed altri eventi"
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In questi caldi giorni di agosto ci troviamo a Treia, Caterina ed io. Ogni giorno cerchiamo di mantenere una routine o qualche rito utile alla comprensione ed all’immersione nel luogo in cui ci troviamo.  Lo facciamo per restare in sintonia con il messaggio bioregionale del vivere in sintonia con il luogo in cui ci si trova. Cercando di apprendere  quel che il luogo può offrirci per la nostra sopravvivenza. 
 
A suo tempo -in forma più intensa-   conobbi questa arte della sopravvivenza  attraverso la conoscenza trasmessami da alcuni vecchietti dei vari luoghi  in cui vissi.  Quindi i miei veri maestri nel campo  del reperimento del cibo quotidiano non furono i  “bioregionalisti” americani, quelli che  si   inventaron  il termine  “bioregionalismo”, ma sono stati  quei vecchi contadini, prima di Calcata e poi di Treia, dai quali ho appreso alcune verità basilari sulla terra e sull’arte di trarne frutto senza danneggiarla.
 
Il bioregionalismo applicato alla produzione del proprio cibo
 
Parlando di agricoltura ‘naturale’ vorrei fare l’esempio della cura rivolta alla prole, che si manifesta con l’incoraggiamento alla crescita e non con la coercizione, allo stesso modo poniamoci verso le risorse che madre terra offre.
In termini di approccio bioregionale verso le fonti di approvvigionamento alimentare  ciò significa prima di tutto rendersi consapevoli di quello che spontaneamente cresce nel posto in cui si vive.
 
Questo iniziale processo di osservazione, o accomunamento alla terra, è necessario per scoprire quante erbe e frutti commestibili son già disponibili, cresciuti in armonia organolettica con il suolo e quindi esprimenti un vero cibo integrato per chi là vive. Lo stesso corso va applicato anche alla vita animale selvatica che condivide la presenza in equilibrio naturale.
 
Un’accurata analisi consente l’immediato utilizzo di cibo integrativo spontaneo per arricchire la dieta corrente, oggi limitata a poche specie coltivate (sia pure in modo biologico). Il passo successivo e quello di sperimentare l’eventuale inserimento nel terreno prescelto di piante coltivate che siano in sintonia o meglio delle stesse famiglie di quelle spontanee.
 
Questa graduale promozione ovviamente non può essere fatta con l’occhio distaccato di un botanico o di un tecnico agricolo ma va accompagnata da una reale presenza e compartecipazione al luogo, in modo da trarne occasione per un riconoscimento di appartenenza e condivisione (con la vita ivi presente) divenendo in tal modo noi stessi cooperatori della natura e suoi conservatori.
 
E’ una convergenza, una osmosi, che si viene pian piano a creare fra noi e l’ambiente ed è anche la base della produzione di cibo vero (per uomini veri) che non va però relegata alla sola categoria dei contadini ma vista come la premura di ognuno. E’ un atteggiamento di consapevolezza alimentare.
 
Infatti il mio consiglio è quello di intraprendere piccole coltivazioni casalinghe ovunque sia possibile, nel giardino dietro casa o sulla terrazza di un condominio, e di approfittare di ogni passeggiata per raccogliere delle erbe commestibili, in modo da spezzare la totale dipendenza dal cibo fornito dal mercato, rendendoci così responsabili – sia pure in minima parte – della nostra alimentazione.
E’ un aspetto essenziale della cura per la vita quotidiana e della presenza consapevole nel luogo.
 
Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana
 
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