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Le varie scuole del buddismo (Theravada, Tantrismo, Lamaismo tibetano, Chan cinese, Zen giapponese e persino quelle forme di buddismo occidentalizzato ecc.) sono caratterizzate da differenze nel modo di accostarsi alla comune meta in base alle diverse inclinazioni dei loro fondatori e discepoli, dai costumi e dagli usi delle varie popolazioni che nel corso della loro storia adottarono la fede buddista, dalle condizioni climatiche e geografiche, insomma un approccio che potremmo definire “bioregionale”.
Il pensiero centrale del pensiero buddista è la sofferenza umana, la conoscenza della sua causa, l’individualità e la cessazione della sofferenza attraverso l’eliminazione della causa. Vero è quanto mi fa stare meglio, ovvero mi fa progredire lungo la via della vita. Per un orientale la parola filosofia si traduce meglio in “consigli per agire”, “tecniche di comportamento“, sperimentazione esistenziale. La sofferenza non è procrastinabile. E’ qui ed ora, e occorre affrontarla. L’insegnamento tramandato dal Buddha, non mira a convincere l’ascoltatore, bensì fornisce chiare indicazioni metodologiche, etiche ed esistenziali.
Per il Buddha è infinitamente più importante sperimentare l’impermanenza e la non-sostanzialità dell’io-individuale per mezzo di una corretta postura del corpo e di una giusta concentrazione, piuttosto che far ricorso alla ragione e alle parole.
Chi sa tace. Questo tende ad escludere ogni risposta razionale e induce il discepolo ad abbandonare le normali categorie di giudizio, e perciò andare oltre se stesso.
Ancor prima della comparsa del Buddha gli indiani avevano sondato a fondo le potenzialità della psiche umana, giungendo a risultati a tutt’oggi sconosciuti alla psicologia occidentale. Il controllo della mente esternalizzante è essenziale per il raggiungimento del NIRVANA.
La via da battere per curare il mal di esistere passa attraverso l’osservazione, la discriminazione, la concentrazione, la meditazione e l’assorbimento. Una mente libera, sgombra di impurità è la condizione fondamentale affinché l’uomo possa deporre, una volta per tutte, il fardello della sofferenza.
Non può esservi vera soddisfazione, dal momento che lo stesso sé, non esiste realmente, è solo un sogno a occhi aperti. Il grande contributo della filosofia buddista consiste nei metodi elaborati per imprimere nelle nostre menti riluttanti la verità del non-sé.
Nelle religioni “rivelate”, di derivazione giudaica (ebraismo, cristianesimo, islam), l’uomo si è affidato nella prospettiva di un “al-di-là” che procede da questa vita.
Il buddismo parte da presupposti completamente diversi. L’angoscia è lì, sotto gli occhi di tutti. La causa del mal-di vivere, va ricercata nella falsa credenza di un io stabile, nell’attaccamento a questo o quel desiderio. Questo è il problema che bisogna risolvere. La soluzione è difficile ma esiste, occorre volontà. Nel buddismo vige la legge della impermanenza: dato che nulla permane durante la vita, come potrebbe qualcosa permanere al termine della stessa?
Il messaggio di Buddha è: la salvezza, non può consistere nella sopravvivenza di un’anima personale che ha rettamente vissuto e migra purgata dai condizionamenti della vita terrena verso cieli di beatitudine. Ed infatti l’immortalità nel buddismo non rappresenta una promessa di vita ultra terrena.
Il cristianesimo sarebbe destituito di qualsiasi valore se si negasse la realtà storica, dell’individuo Gesù Cristo, la sua morte in croce e la sua risurrezione per il salvataggio dei peccatori. Lo stesso non si può dire del buddismo che poggia direttamente sull’efficacia della pratica, sulla cessazione della sofferenza attraverso l’estinzione dell’io.
Il buddismo non nega l’esistenza di una energia universale ma non la individua in un “dio”, non gli interessa di sapere né quale siano i suoi attributi, né perché abbia creato questo mondo. Qualsiasi genere di disquisizione intorno al “dio”e alla creazione è considerata un inutile esercizio dialettico, o peggio, una dannosa presunzione retorica. Tutto ciò che possiamo comprendere con l’intelletto, per il buddismo è puramente accessorio.
Occorre applicarsi nella vita di tutti i giorni, con retta parola, retta azione, e retta condotta di vita. Mia piccola conclusione: il buddismo è una filosofia per la vita, mentre le fedi “monoteiste” differenziate (che credono in Jawè, Cristo e Allah) sono religioni per dopo la morte.
Roberto Anastagi