Alcune ipotesi di riassetto bioregionale…
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L’Italia pur essendo di piccole dimensioni rispetto a molti altri stati, è a tutti gli effetti un “microcontinente”, non solo per la morfologia del Suo territorio che è ricchissimo di bioregioni (ecosistemi), possedendo la maggior biodiversità d’Europa (oltre al maggior patrimonio culturale mondiale ed oltre mille aree protette, ideali per il turismo naturalistico), ma per la diversificazione delle sue genti e la moltitudine delle sue minoranze etniche, culturali e linguistiche.
La nostra penisola è caratterizzata da centinaia di borghi antichi ancora ben conservati nei loro centri storici medievali, che rendono il nostro paese una potenziale ed esclusiva destinazione per un turismo storico culturale di qualità e di nicchia. Elementi che da soli basterebbero per rendere il turismo nel nostro paese la prima fonte di reddito, mentre siamo ormai relegati al decimo posto mondiale come meta del turismo internazionale.
Quando si costituì l’Unità d’Italia si parlavano una miriade di lingue e dialetti e vi erano costumi sociali talmente diversi che le varie popolazioni neanche si capivano tra di loro. Ad una simile situazione di eterogeneità di solito si rimedia politicamente con un forte statalismo accentratore. E’ nota infatti l’aneddotica attribuita a Massimo d’Azeglio che “fatta l’Italia poi si dovevano fare gli italiani!” Solo che nessuno ci è mai riuscito. L’Italia come nazione non è mai esistita se non sulla carta, a livello fittizio, burocratico e geografico.
Fin dai suoi primordi unitari, ed ancora più nel 1876 con la vittoria della sinistra (che attenuò il “senso dello stato” e ne accentuò la privatizzazione ed il business a favore di pochi sfruttatori elitari, contrariamente a quanto si crede …), si favorì e si accolse nel governo elitario, composto da nobili, notabili e professionisti (soprattutto avvocati), ogni caratteristica localistica negativa presente nella penisola: dal particolarismo al clientelismo, dal campanilismo al trasformismo, dal parassitismo al latifondismo, ecc., in una sequela di “ismo” che furono poi successivamente codificati in una gigantesca burocrazia in espansione progressiva e di connotazione kafkiana, colonizzata perlopiù dalle baronie meridionali.
Quindi siamo partiti male e siamo approdati ancora peggio dopo il ventennio fascista, con una disfatta ed una distruzione della penisola senza precedenti, cui seguì un referendum istituzionale falsato nei risultati a favore della repubblica (voluta dagli “Alleati” vincitori della guerra, in particolare dagli USA), che solo la saggezza e responsabilità del Re Umberto II evitò potesse sfociare in un’ulteriore guerra civile, per cui preferì autoesiliarsi in Portogallo piuttosto che provocare altre sofferenze alla popolazione. Sicuramente, se Umberto II non si fosse autoesiliato in Portogallo, si sarebbe scatenata una ulteriore guerra civile ed il paese si sarebbe probabilmente spaccato in due, essendo all’epoca il meridione prevalentemente monarchico.
Quando nel ’43 si ventilava l’ipotesi che persa la guerra gli alleati avrebbero imposto la repubblica cacciando il Re, Vittorio Emanuele III che non era lo stupido e pavido che la storiografia successivamente designò come stereotipo, disse che la repubblica sarebbe stata la rovina dell’Italia, perché gli italiani erano troppo individualisti, immaturi ed irresponsabili per poter gestire il bene comune, che ognuno avrebbe fatto per sé, per i propri interessi, la corruzione avrebbe dilagato e portato il paese alla rovina … Qualcuno lo può forse smentire?
Sintetizzando riduttivamente ma realisticamente, da una prima fase in cui si veniva cooptati al potere se in possesso di determinate caratteristiche elitarie comuni (grandi elettori, controllo dei pochi voti necessari ad essere eletti, ne bastavano anche solo poche centinaia), successivamente alle varie riforme elettorali tendenti ad allargare il suffragio, si passò poi alla costituzione di partiti che necessitavano del consenso per poter aver successo politico, e quindi si ricorse al voto di scambio, clientelare e pregiudiziale. Mai nella storia dello stato italiano si manifestò una democrazia minimamente matura e responsabile. Occorre sempre tenere conto che la popolazione era quasi interamente analfabeta ed ancora oggi lo è prevalentemente anche se si definisce “di ritorno”, perché non avvezza a leggere, studiare, analizzare, documentarsi, ecc., quindi priva di strumenti culturali per poter valutare le proposte politiche e demistificare le menzogne, divenute abituali con poche varianti ed eccezioni, sostenute ormai da una propaganda spregiudicata ed invadente, con la complicità mediatica e con una qualità dei programmi televisivi talmente scadente da provocare atrofie neurologiche in chi guarda la TV passivamente ed abitualmente.
Non a caso le ultime ricerche sociologiche indicano in circa l”80% la popolazione italiana ormai priva di strumenti culturali ed autonomia di giudizio e di elaborazione del pensiero, in quanto disabituata a leggere libri e riviste impegnative e incapace di comprendere ed analizzare concetti articolati e profondi …
La situazione socio-politica che stiamo vivendo è molto particolare, come opinione pubblica e società civile (almeno di quel 20% di popolazione ancora in grado di pensare autonomamente), siamo ormai pervenuti ad un punto di saturazione, l’esasperazione verso l’indegno modo di far politica in Italia (partitocrazia clientelare ed oligarchia pseudodemocratica) ha raggiunto ormai livelli intollerabili, e sfocerà inevitabilmente in conflitti sociali non negoziabili, incrementerà l’individualismo e l’immoralità, ed aumenterà l’ingovernabilità del Paese, i cui segnali precursori sono evidenti da tempo. Coloro che ancora reggono il gioco ad una tale classe politica (la cosiddetta “casta”, personaggi totalmente inadeguati alle responsabilità assunte nei confronti della collettività) è perché hanno interessi diretti o indiretti a sostenerla, in qualche modo si sono prostituiti e prostrati ad essa, tutti gli altri, in particolare le persone oneste, sono solamente penalizzata e scandalizzate, e si vergognano sempre più di essere italiani, mentre dovremmo esserne fieri, se non fosse per la pessima classe politica che ci governa indecentemente da troppo tempo.
La partitocrazia parassitaria, in questi decenni ha occupato tutti i gangli del potere politico ed economico della penisola, arrecando danni incalcolabili per la loro insipienza e protervia (superiori a quelli arrecati dalle cinque grandi organizzazioni criminali presenti ed operanti nel nostro Paese, che già lo rende un caso unico al mondo), ed ovviamente non ha alcuna intenzione di rinnovarsi adeguandosi alle istanze provenienti dalla società civile, perché significherebbe ridurre i propri privilegi e rinunciare al potere. Sarebbe come se un ladro rinunciasse spontaneamente al suo bottino … inoltre una prolungata impunità l’ha inebriata, inculcandole in profondità una sorta di delirio di onnipotenza che impedisce di percepire la realtà vera, e quindi fino alla fine, gli attuali politici di professione e coloro che si sono prostituiti al loro servizio, non si renderanno conto dei fenomeni e sommovimenti in corso che faranno implodere l’attuale sistema politico, e non si renderanno conto di essere morti (politicamente) finché non saranno chiusi nelle bare, sigillati e posti nei sepolcri. La partitocrazia parassitaria o casta è pertanto destinata col tempo ad implodere, collassare. Noi abbiamo il dovere morale di studiare il modo di accelerare i tempi.
Tramite lo studio della Storia, soprattutto localistica e denominata a mio avviso impropriamente “minore”, dovremmo cercare di cogliere qualche aspetto che possa essere di utilità, qualche elemento, condizione e spunto che possa essere rielaborato ed adattato come soluzione alla deprecabile e degradata situazione odierna.
Partiamo dalla consapevolezza che dobbiamo soprattutto rendere merito al fenomeno storico medievale dei “comuni e delle signorie cittadine”, ed alla loro evoluzione storica e grandezza acquisita, se col tempo il nostro paese è divenuto nei secoli così apprezzato per la sua ricchezza culturale. E non certo alle grandi dinastie o ai grandi stati, che si sono perlopiù dedicati alla guerra di espansione, all’arricchimento smisurato, alle vessazioni fiscali, alla soppressione delle libertà, ecc., salvo eccezioni, fino ai tempi recenti nei quali si sono dedicati anche alla distruzione delle risorse ambientali ed alla omogeneizzazione dei costumi sociali e culturali, disperdendo tradizioni ed identità comunitarie, pervenendo persino a denigrarle e deriderle, sostituendole con iniziative autoreferenziali ed autocelebrative elitarie, spesso intrise di clientelismo e scandaloso spreco di denaro pubblico.
Nel medioevo la nostra penisola era divisa in talmente tanti staterelli che è impossibile per qualsiasi storico ricordarli tutti a memoria, ma molti di loro permasero a lungo, per molti secoli, e questo non può essere un fenomeno imputabile solo al caso, ma soprattutto alle forti identità comunitarie ed omogeneità territoriali, cito l’esempio che meglio conosco e studio da tempo: il Marchesato di Monferrato (che perdurò per oltre sette secoli), che sul finire del XIII° secolo aveva anche raggiunto dimensioni ragguardevoli fino a occupare i tre quarti del Piemonte (che allora non esisteva, essendo definita tutta l’area del nord ovest come Lombardia) ed un bel pezzo dell’attuale Lombardia, era talmente diviso internamente che i Marchesi Aleramici, titolari dello stato dovevano muoversi in continuazione da un feudo all’altro (la cosiddetta “corte itinerante”) per garantirsi la fedeltà di ogni signorotto locale. Fate conto che ogni borgo (e da noi ce ne sono un’infinità) aveva un signore che in pratica faceva quello che voleva ed era una banderuola come alleanze e comportamenti politici … finché non sono arrivati nel 1306 i Paleologi di Bisanzio a governare, divenendo quindi i Paleologi Marchesi di Monferrato, ed allora hanno iniziato a fare sul serio, avendo l’esperienza dell’Impero Romano d’Oriente.
Ma l’aspetto assolutamente interessante ed assai curioso è che non si sono affatto imposti, ma sono venuti a governare il Monferrato in seguito alla decisione intrapresa da quello che è passato alla Storia locale come il primo Parlamento del Monferrato avvenuto nel 1305, al quale parteciparono tutte le rappresentanze del territorio, dai nobili ai delegati delle comunità, che rifiutando le ingerenze espansionistiche del Marchesato di Saluzzo e dei suoi alleati Savoia, Acaia, Angioini oltre al potente comune di Asti, decisero di inviare cinque ambasciatori a Costantinopoli per chiedere alla Basilissa Iolanda (o Irene), sorella dell’ultimo Marchese Aleramico (rimasto senza eredi), di inviare suo figlio Teodoro principe di Bisanzio a governare il Monferrato come legittimo successore, giurandogli fedeltà.
Anche nel medioevo c’erano spazi di libertà e di autonomia (non solo sfociata nel fenomeno tipicamente italico dei comuni), pur essendo le guerre e la prepotenza degli eserciti, condizione normale in cui versava la nostra penisola, a causa soprattutto delle ingerenze e degli appoggi delle grandi potenze straniere, che da sempre ambivano a possedere porzioni di territorio italico, sia per la sua ricchezza materiale (prodotta dall’abilità dei suoi abitanti), la fertilità delle sue terre, per le sue bellezze naturalistiche, per la sua posizione strategica.
Il medioevo finì e si transitò nel Rinascimento, come si è convenuto storicamente con la scoperta ufficiale dell’America nel 1492, ed a quell’epoca la penisola era suddivisa in decine di Marchesati, Ducati, Principati, Repubbliche e Regni (perlopiù dominati da dinastie straniere), alcuni autonomi oppure stati “cuscinetto”.
Alcuni di questi territori rimasero più o meno integri ed autonomi fino alle conquiste napoleoniche ed anche oltre, fino all’Unità d’Italia. Permasero per secoli cambiando solo le dinastie regnanti, ma rimanendo forti nelle loro identità storico culturali, come dimostrano ancor oggi frequenti progetti di promozione turistica da parte di agenzie turistiche specializzate locali (anche di livello regionale o nazionale), che si fondano sul richiamo storico-culturale e simbolico di queste lande e regni preunitari per attirare i turisti (soprattutto ricorrendo alle rievocazioni storiche e valorizzazioni di eventi epici), che senza una partecipazione attiva e condivisa della popolazione locale, rimarrebbero progetti effimeri, lettera morta, fallimentari. Se invece alle vestigia storiche si unisce la fierezza di appartenenza a quelle terre ed un minimo di conoscenza e consapevolezza storica, unitamente al calore umano ed alla cultura dell’accoglienza, ecco che allora le possibilità di successo si ampliano e si consolidano.
Si dovrebbe riprendere come modello di riferimento politico istituzionale la dimensione e possibilmente la storia identitaria dei molteplici stati preunitari. Del resto anche se si guarda oltre confine, sono sempre gli stati di modeste dimensioni quelli dove la qualità della vita a livello di servizi sociali e di democrazia applicata è la migliore. Personalmente posso citare i casi della Costa Rica, che avendo rinunciato alle Forze Armate ha puntato principalmente sull’istruzione e la sanità, e successivamente sulla protezione dell’ambiente, raggiungendo il 30% di aree protette e facendo dell’ecoturismo la prima voce di reddito per la popolazione, o il caso della Slovenia, considerata la Svizzera dei Balcani, riuscita ad evitare la guerra dei Balcani del decennio scorso, ricoperta da una folta foresta promuove anch’essa un turismo di qualità che si fonda soprattutto sull’ambiente incontaminato, e per ultimo il Montenegro, stato recentemente divenuto autonomo, ma già da anni improntato anch’esso all’ecologia ed al turismo, con paesaggi da sogno, anche se purtroppo l’impegno ecologico rimane perlopiù teorico. A livello demografico andiamo dai 3,5 milioni di abitanti della Costa Rica, ai poco più di due della Slovenia allo 0,7 milioni del Montenegro, con superfici simili ad una nostra regione o al massimo ad un paio, giuste dimensioni per potersi rapportare politicamente, partecipando attivamente alla sua evoluzione.
Sono infatti tutti quanti stati ad elevata socializzazione, in particolare la Costa Rica, dove il calore umano si percepisce in maniera palpabile ed indelebile. In molti invece, citano come alternativa da imitare, gli esempi di stati di modestissime dimensioni, come San Marino o il Principato di Monaco, ma non fanno testo per le mie proposte, perché la loro ricchezza si fonda su altri fattori, non sempre e facilmente riproducibili, e le loro dimensioni sono troppo modeste per essere prese a modello di riferimento da riproporre con credibilità anche in altri contesti.
Personalmente come modello di riferimento (anche se ultimamente è leggermente scaduto, forse perché lentamente contaminato dalla vicina Italia e dalla crisi finanziaria internazionale in corso…) ricorro spesso alla Svizzera. In Svizzera hanno solo sette ministri (loro li chiamano Consiglieri) di cui uno a turno annuale fa il presidente, e le donne sono spesso pari o addirittura superiori come numero agli uomini. Quando un ministro non è gradito glielo dicono senza mezzi termini, lo sfiduciano e lo sostituiscono in tempi brevi. Lo stesso avviene per qualsiasi alta carica dello stato e delle istituzioni confederate, al minimo sgarro o scandalo (che da noi farebbe sorridere) o danno le dimissioni o sono sfiduciati … il senso dello Stato è al primo posto dei sentimenti di tutti i politici, ed anche quando fanno qualcosa che non è gradito agli elettori, i cittadini indicono un referendum, che a differenza che in Italia, sono frequenti ed hanno potere decisionale, nel senso che determinano le scelte politiche e sono immediatamente efficaci … mentre in Italia sono divenuti delle burle cui non crede più nessuno, perché la classe politica (casta – partitocrazia) temendoli, ne ha inficiato la credibilità in tutti i modi, abusando della tolleranza e dell’ignoranza degli italiani. Tolleranza di quel quinto della popolazione, che in base alle ricerche sociali risulta essere il più colto ed informato, ed ignoranza dei quattro quinti, che sempre in seguito alle recenti ricerche sociali risulta essere semianalfabeta (o analfabetismo di ritorno), pare non leggano mai nulla di minimamente impegnativo (meno che mai i libri) e pare attingano solo dalla televisione le loro informazioni e nozioni, per cui si comprende la degenerazione a cui siamo pervenuti con processi di delega non solo politica ma anche della facoltà analitica e di pensare, e si capisce il perché i politici italiani siano i peggiori del mondo occidentale ed industriale, privi del senso del pudore, della misura, della dignità, ecc. …
Il modello di riferimento a livello macro politico per me rimane la Svizzera, cioè uno stato confederato basato sulla democrazia diretta (come lo fu Atene nel V secolo A.C.), suddiviso in Cantoni che mantengono un’ampia sovranità, delegando al governo federale solo alcune funzioni. Governo per altro composto da poche persone e tenute sotto stretta osservazione dagli elettori e applicando tra di loro la rotazione dell’incarico di Presidente.
Il modello cui auspico, dovrebbe disporre di un istituto referendario fortemente potenziato ed agevolato, anche con il ricorso alla tecnologia, purché certificata ed autenticata, scevra da rischi di manipolazione. In una struttura del genere la partitocrazia è destinata a scomparire non avendo più alcuno spazio di manovra, perché prevarranno le istanze della società civile per il tramite soprattutto di liste civiche, movimenti ed associazioni, che sceglieranno i rappresentanti dei comuni e dei Cantoni. Le poltrone saranno ridotte ai minimi termini come pure i privilegi e le rendite da posizione (che in pratica scompariranno), le retribuzioni subiranno un drastico ridimensionamento.
In Italia attualmente sappiamo tutti come sia degenerata la suddivisione politica delle competenze e dei poteri, frutto perlopiù di una politica clientelare e spartitoria, accentuata negli ultimi decenni a causa del predominio della partitocrazia, che ha moltiplicato gli enti pubblici, locali e territoriali, monopolistici ed oligopolistici, per distribuire poltrone e prebende ad una moltitudine di personaggi al servizio dei partiti, perlopiù incapaci ed incompetenti, prodighi nel fare danni e nell’abusare del potere loro concesso, creando complessivamente una situazione paradossale, parassitaria parossistica, gravemente discriminatoria e sperequativa, che non ha precedenti ed eguali nella storia d’Italia e del mondo.
Solo in rarissimi casi qualche provincia o regione corrisponde per grandi linee a quanto sussisteva storicamente e culturalmente come identità omogenea sociopolitica (vedasi ad esempio la Toscana corrispondente al precedente Granducato di nascita rinascimentale ed origine mediceo fiorentina e di alcune regioni e province a statuto autonomo), nella maggioranza dei casi sono frutto di suddivisioni politiche decise a tavolino per accontentare qualche potente politico, in posizione di forza impositiva, per favorire feudi elettorali ed interessi economici particolari e partitocratici. La somma di tutti queste azioni, prive di substrato storico culturale e sociale, hanno portato ad una situazione di ingovernabilità diffusa e sempre più grave, ad una grave disaffezione ed un profondo distacco tra la cittadinanza e la politica.
Occorre pertanto elaborare una riforma radicale della politica territoriale, eliminando tutti gli attuali enti locali, regioni, province (divenute addirittura 110 di cui 3 in fase di attuazione, alcune totalmente prive di senso e già conflittuali prima ancora di essere avviate, come Barletta- Andria- Trani) , comunità montane e collinari, ecc., ormai considerati dalla popolazione dei “poltronifici” dove sono state collocate perlopiù indegnamente centinaia di migliaia di professionisti della politica e suoi parassiti asserviti (tra cui molti consulenti), veri e propri “cortigiani”, e sostituirli con aggregazioni territoriali liberamente concepite dalle popolazioni stesse (tramite consultazioni e pattuizioni ed elaborazione di statuti) sulle orme degli stati preunitari, che potrebbero assumere la connotazione di Cantoni, come in Svizzera, dotati di ampia autonomia, per sfociare appunto in una Confederazione. Si tratterebbe pertanto di una forma ripropositiva attualizzata degli stati preunitari, in chiave moderna e con tutti gli adattamenti del caso, che non sarà affatto calata dall’alto e studiata a tavolino (come hanno sempre fatto politici e burocrati) ma elaborata dalla società civile, in maniera condivisa e partecipata e con il ricorso all’istituto referendario per confermare le scelte effettuate.
A livello territoriale localistico, che potremmo definire “cellulare” o di micropolitica, dovrebbero rimanere solo i comuni, ma con requisiti minimi, soprattutto demografici, con una soglia minima ad esempio di 10 mila abitanti, per cui si dovrebbero aggregare liberamente per pervenire a queste dimensioni funzionali. I comuni attualmente più piccoli, o anche le frazioni di grandi dimensioni (nella penisola ce ne sono oltre 60 mila, alcune sono molto più grandi di comuni esistenti) avranno diritto ad eleggere un proprio rappresentante, che sarà delegato con pieni poteri ad agire per l’interesse della comunità di provenienza, presso il nuovo comune costituito (di dimensioni appunto superiori ai 10 mila abitanti).
In pratica ogni delegato di una piccola comunità (borgo), che quindi non sarà affatto soppressa, diverrà consigliere nel comune di più grandi dimensioni e responsabile della gestione del proprio borgo e comunità ed avrà diritto solo a rimborsi spese ed un minimo di assegnazione logistica ed operativa idonea alle sue funzioni.
Solo i comuni così costituiti avranno una Giunta esecutiva, i cui membri avranno diritto ad una indennità di ruolo, tutte le altre saranno sciolte, e così saranno eliminati quasi tutti gli attuali ruoli di potere parassitario gestiti dalla partitocrazia. I Comuni così costituiti a loro volta delegheranno un rappresentante in seno al Cantone, in base ai criteri statutari che saranno determinati liberamente. I partiti che hanno dato corpo all’abominevole partitocrazia saranno così privati della loro linfa vitale e la società civile tornerà ad essere protagonista della politica attiva, riappropriandosi della sua libertà. Le società a partecipazione pubblica dovranno essere gestite da manager provenienti dal mercato o dalla società civile, per meriti competenze e qualifiche, e mai dai partiti.
Che vi siano già da tempo in corso istanze di maggiore libertà ed autonomia nella nostra penisola, è un fenomeno evidente a chiunque anche solo affrettatamente faccia una ricerca in internet, dove compariranno decine e decine di gruppi, associazioni, movimenti, ecc. che si rifanno a valori di indipendentismo, autodeterminazione, autonomia, protezione delle minoranze, ecc. Ne cito solo alcune a titolo dimostrativo ed esemplificativo: Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna (Indipendenza della Repubblica di Sardegna) – Partito Sardo d’Azione (Partidu Sardu) – Liga Veneta Repubblica – Partito Nazionale Veneto, Venetia Libera e Indipendente – Domà Nunch Associazione, econazionalista Insubre – Partito Autonomista Trentino Tirolese (PATT) – Movimento politico “La Colomba” per il Friuli Venezia Giulia – Indipendentisti di lu Frunti Nazziunali Sicilianu – Movimento Autonomista Toscano – Movimento Indipendentista Ligure – Terra e Liberazione Per l´Indipendenza del Popolo Siciliano, ecc..
Inoltre sono sempre più frequenti esempi di ricerca di coesione territoriale fondata su radici storico culturali condivise e supportate da una forte identità comunitaria, come dimostrato di recente, ad esempio, dall’approvazione dello Statuto comunitario per la Valtellina (rammento che la Valtellina sarebbe stato il 24° cantone svizzero se Napoleone nel 1797 non lo avesse conquistato sottraendolo ai Grigioni …). Cito soltanto superficialmente fenomeni in corso da diversi anni come il “Principato di Seborga”, perché più che su solide basi storico culturali ed identitarie, si fonda su un’abile ed astuta gestione del business turistico, sempre più attratto da questi eventi e proposte autonomistiche fondate su presunte basi storiche …
Queste diffuse espressioni autonomiste ed identitarie della società civile locale, sempre più potenti e capillari, e dotate di un notevole consenso latente (che i partiti cercano di soffocare o assorbire fagocitandolo), sono un segnale inequivocabile di un forte desiderio di libertà, di volersi liberare dal parassitismo e dalla corruzione soffocante, pervenendo a nuove aggregazioni politiche di piccole dimensioni, meglio governabili e controllabili, dove un sano individualismo creativo, tramite l’applicazione della democrazia diretta e partecipata, può dare più facilmente il suo contributo al benessere generale, migliorando la qualità della vita dei suoi abitanti. Dove i talenti non siano schiacciati e costretti ad emigrare ma siano valorizzati. Soprattutto in questo periodo di crisi finanziaria ed economica mondiale, che è dimostrazione del fallimento dell’attuale sistema politico economico dominante, fondato sulla creazione di denaro tipografico (immissione di liquidità senza contropartita valoriale, che è causa della vera “inflazione”) e sull’indebitamento sproporzionato ed indotto artificialmente, sull’ingerenza statalista nel mercato, sullo sfruttamento insensato delle risorse naturali, sull’assoluta assenza di etica politica ed economica, ecc., soprattutto ora si rende indispensabile rivedere totalmente le basi strutturali su cui fondare la società, che deve essere sostenuta da chi crea vera ricchezza con le proprie idee ed il proprio lavoro, con i propri risparmi ed investimenti, e non su chi ne abusa autoritariamente, appropriandosene parassitariamente.
Claudio Martinotti Doria – Rete Bioregionale