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La necessità di riportare la selvaticità in Italia…

 

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Durante il ventennio fascista sono state bonificate la maggior parte delle terre paludose in Italia. Su queste nuove terre sono stati fondati centinaia di nuovi borghi paesi città e contrade. Queste bonifiche governative soprattutto delle coste, hanno dato il via, in accordo alle lobbies del petrolio, della meccanica e del cemento, alla grande antropizzazione e distruzione delle coste di gran parte del meridione. Anche Pescara, la città dove vivo è stata fondata in quegli anni unendo due piccoli borghi Castellammare e Pescara. La città è stata edificata su una zona paludosa, enorme stagno retro dunale e su una duna di recente costituzione.

 
Naturalmente ancora oggi, nonostante la poderosa cementificazione, la città ha notevoli problemi di allagamenti, sabbia sulle strade, bonifiche. 

 
Una curiosità, Battiato, il musicista, è nato a Jonia una città che non esiste, nel senso che era stata fondata unendo i due paesi di Giarre e Reposto solo che poi sono tornati ad essere paesi autonomi. Spostiamo il centro del mondo è una metafora per dire eliminiamo le torri civiche, fasciste, medioevali, templi ecampanili e rimettiamo al centro delle nostre città, l’albero. 
 
Ecco allora Segezia e Daunilia, due nomi fantastici creati dalla dialettica fascista. Prima delle bonifiche com’era il paesaggio? E non è detto che bonificare tutte le campagne sia stato giusto, nel senso che si è alterato l’equilibrio dei bacini delle ambienti nelle zone umide con la scomparsa di tutta la fauna e la vegetazione. Cosa buona estirpare la malaria anche se si poteva fare in altro modo. Certamente per progettisti e pianificatori fascisti è stato semplice costruire perché lavoravano su un materiale vergine, ispirandosi al razionalismo della scuola di Gropius della Bauhaus, rivestendolo di marmi e riferimenti all’architettura classica romana. Il fascino come nella pittura metafisica di Boccioli Carrà e altri pittori dell’epoca è stato proprio il senso di vuoto e spaesamento della metafisica surreale e onirica, l’essenza della solitudine dell’uomo fascista. La vita quotidiana delle genti meridionali, nonostante i tentativi e gli sforzi insediativi del regime, è rimasta lontana dagli obiettivi preposti e solo con l’avvento del consumismo è veramente cambiata ed è stata condizionata dalle moderne tecniche di comunicazione. 
 
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Ecco quindi la proposta metaforica del ritorno dell’albero al centro del villaggio, attorno al quale riunirsi, in sostituzione come dicevo di torri e campanili. Anche la natura ha il suo spazio e mi sembra poco oculato aver eliminato paludi per costruirci sopra. L’architettura è sempre stata come altre arti e attività seguace subdola della cultura dominante che la esprime. 
 
Fondamentalmente la storia dell’evoluzione dell’umanità è sempre legata a un pensiero antropocentrico come tutte le espressioni artistiche culturali e mai al pensiero biocentrico dell’ecologia profonda. Si può anche progettare e pianificare in modo ecologico, rispettando l anima dei luoghi. Uno dei personaggi più affascinanti in tal senso, sia nella progettazione, legata all’esoterismo e alla spiritualità, sia al rispetto dei luoghi e dell’ambiente è stato Federico II che ha vissuto una vita a cavallo tra boschi e tende, nelle zone paludose da lui preferite per la caccia e faceva arrivare animali e uccelli per arricchire la biodiversita in luoghi poi da noi definite come riserve, i famosi “loca solatiorum”.  Mecenate fantastico, ha favorito il dialogo tra la cultura islamica e la cultura cristiana, per questo è stato pure scomunicato. Esempio di uomo nuovo che potremmo scegliere come simbolo di un pensiero illuminato, nonostante le contraddizioni legate del periodo storico. Il pensiero di un uomo perfettamente immerso nella natura che possa esprimere un ideale ecologico biocentrico e mai più solo antropocentrico. 
 
Quindi spostiamo il centro del mondo e riportiamo l’albero al centro della vita comunitaria. In questo remix di altro materiale ho tratto una specie di storia sulle città di fondazione del periodo fascista raccontata in modo surreale in chiave di rilettura poetica filosofica linguistica iperealistica.
Una storia sintagmatica paradigmatica esecutiva disgiuntiva isotopia tra modi ottativi e gesti verbali. SPOSTIAMO IL CENTRO DEL MONDO. La prima cosa che colpiva era la luce. Gran luce ovunque, tanto sole, un calore abbagliante, e la vita nei piccoli borghi al cui centro stava l’ombra generosa e fresca di un albero, una immensa quercia. L’intera comunità ruotava intorno a questo albero, ci si riparava, si decideva, si raccontava, si aspettava l’arrivo della sera. I villaggi erano questo delicato equilibrio, questa perfezione costruita usando i luoghi della natura. 
 
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SEGEZIA E DAUNILIA. Piccoli luoghi di aggregazione per coloro che lavoravano i campi. il risultato fu suggestivo: lo spazio sembrava preservato da ogni contingenza temporale. Un deserto in quella luce. E ci si muoveva in uno spazio metafisico. Una traccia di stampa a colori, sbiadita e impolverata realizzando un lieve squilibrio, in modo da avere come orizzonte gli edifici principali. Si creava così una doppia prospettiva: la città da una parte e la campagna dall altra. I disegni riempivano la grande cartella, simboli sacri: chiavi, pesci, cesti, ventagli, libri, frutta, alberi, foglie, corone, scettri, tiare. La loro fondazione risale al 1938 durante la riforma agraria. Volevano essere, nei progetti nuove città che fossero a memoria delle opere di bonifica nella piana della Capitanata. Cominciati i lavori di costruzione negli ultimi anni di regime, il progetto fu poi abbandonato. Il suo nome deriva dal latino seges, campo seminato. Agli inizi dell’Ottocento, abolita la mena delle pecore, si formarono estesi latifondi, coltivati solo a grano, senza introdurre miglioramenti fondiari o diversificare le produzioni agricole. I braccianti, per la mancanza di strade e la lontananza delle masserie dai centri abitati, erano obbligati a restare in campagna, dove i luoghi erano così malsani da costringerli a dormire all’aperto, nella paglia impastata di letame. I torrenti inondavano vaste aree verso la foce, e la malaria regnava sovrana. il lavoro del Consorzio di bonifica prevedeva un piano di 103 nuovi centri tra cui 5 nuovi comuni. l’opposizione degli agrari fu aspra e aggressiva. 
 
Daunilia, doveva sorgere sulla strada Foggia – Manfredonia. In ognuno doveva esserci: una grande piazza e poi casa del fascio, comune, chiesa, dopolavoro, poste, scuole, mulino, caserma dei carabinieri, cinema, botteghe. Segezia era la prima e poi le altre costruite con cura, soluzioni architettoniche originali, importanti da visitare, isolare e abbandonare. paesi spaesati dove saltano ancora oggi fuori come in un libro pop-up figure mitiche, personaggi assurdi, matti del villaggio, donne bellissime, bambini pestiferi, vecchi contorti e vecchie consumate, poi odori colori suoni rumori sfumature del cielo, il fruscio delle stoffe, il sapore del cibo, la durezza della terra. E che pure rimangono ancestrali arretrati compositi nei loro innumerevoli riti coi polimorfici simboli e nelle loro millenarie tradizioni. POLY(U)TROPON. 
 
Nell’invisibile realtà del continuo infinito presente c’èra un filo logico e la gente da millenni c’inciampava perché il tempo era una prigione dalla quale ci illudevamo di evadere finché il sole della giovinezza rischiarava l’orizzonte, per questo se chiudevamo gli occhi per vedere ciò che vedevamo, potevamo vedere noi stessi perché nelle linee che ci liberavano dall’infinita regressione quel che cercavamo era dentro noi stessi, il resto era nella dispensa… dove tuonava un fatto lampeggiava un idea: Cosa si poteva offrire a uomini che avevano già tutto se non un altro po’ di se stessi giusto prima dell’alba. Alla fin fine la parte migliore di qualsiasi cosa è il momento prima dell’inizio. 
 
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TERRE RARE.  quando le giornate erano tutte uguali il tempo passava presto nei paesi dell arcobaleno un istante dopo raccogliemmo conchiglie ascoltammo il rumore del mare. Facemmo castelli di sabbia. Immaginammo mondi e possibilità. Storie di un pensiero. A che servivano. Sembrerà strano, è così che imparammo a vivere. Organizzando quel pensiero… Eccoci qui ed ora sulla Terra tutto si muove intorno a noi lilla celeste verde giallo arancio rosso carminio la cristallizzazione della compresenza dei tempi nell’universale singolare passione di vita il nostro mondo senso e significato singolarità selezionata indecomponibile totalità dall’universale astratto all’universale concreto infinita contemporaneità dell’esistenza coesistenza un contemporaneo della contemporaneità illimitata un contemporaneo degli uomini nuovi nell’alterità del presente l’eternità individuale. 
 
Il principio del vuoto all’orizzonte degli eventi: tamburi tribali elettromagnetici paesaggio sonoro sensi del mondo villaggio globale somiglianza del significante al significato o della necessita di già qua e là sotto sopra avanti indietro in alto e in basso a destra e a sinistra.
 
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IL PENSIERO ORGANICO. L’anima senza conoscenza è senza potere. Può considerarsi educato un individuo che non sa nulla delle proprietà della linea e del colore o della chimica del buon disegno, nulla di quanto costituisce un buon edificio, che non sa nulla delle piante o della natura degli alimenti che si mette in bocca o della natura delle proprie funzioni corporee? E’ educato quell’ uomo che sa poco o nulla del suo vero io? Si può considerare educato l’uomo che non sa nulla dei ritmi cosmici del sole della luna e delle stelle, cosa fondamentale in arte, nulla dell’effetto che hanno su di lui in tutte le cose che fa, nei suoi sogni, i suoi progetti, le sue piantagioni, i suoi raccolti; le sue danze, i suoi canti o i suoi edifici? 

 
Da radicali andiamo alla radice, dal principio dei tempi fino al giorno dopo il giorno dopo domani, per crescere alla luce del sole affezionarci agli ideali di libertà, amare la terra, amare lo spazio e godere la luce. Impariamo a conoscere le potenzialità del suolo, i misteri della mente, non soltanto lavorando sul suolo e in esso, anche educando la mano a disegnare modellare colorare quel che abbiamo visto altrettanto bene della natura elementare; impariamo ad ascoltare la musica nel suono, del grido degli animali, del vento tra gli alberi, dell’acqua che scorre e che cade: essendo nel suo complesso lo studio che denominiamo “astrazione” una specie di studio dell’architettura elementare. 
 
Occhio e mano, corpo e mente e quel che chiamiamo anima diventerebbero più sensibili alla Natura e apprezzerebbero maggiormente il ritmo integrale. Apparirebbe in tal modo la sintesi stessa dell’essere. 
 
Apprendendo nel frattempo non solo a vedere con chiarezza e imparando a disegnare-definire, quel che vediamo e facendo gradatamente altri passi per prepararci a costruire strutture organiche. Impariamo a far crescere due fili d’erba dove prima ve n’era solo uno o nessuno; vedendo prendere vita lo spirito di quest’atto! Individualisti capaci di un intelligente cooperazione con il Principio, il presente e la sempre mobile ombra che divide lo ieri dallo domani, in questo sta la nostra speranza. Tratto e liberamente reinterpretato da “La città vivente” di Frank Lloyd Wright.
 
Ferdinando Renzetti – Rete Bioregionale Italiana 
 
 
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