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Bioregionalismo da Peter Berg alla Rete Bioregionale Italiana – Alcune notizie d’archivio

 

PIzzone. Convivio nel Parco Nazionale d’Abruzzo

Bioregionalismo e Rete Bioregionale Italiana

Il concetto di “Bioregione” è stato formulato negli anni ’70 nell’ambito di una ricerca, volta all’individuazione di un approccio sostenibile alle risorse naturali, condotta da Peter Berg, esponente delle avanguardie culturali nord-americane, e dall’ecologista statunitense Raymond Dasmann. Il lavoro prodotto da queste due personalità singolari venne pubblicato, nel dicembre del 1977, in un articolo della rivista americana The Ecologist in cui, per la prima volta, vennero impiegati i termini “Bioregione” e “Bioregionalismo”.

Negli stessi anni, Peter Berg fondò il movimento noto come Planet Drum (Il tamburo planetario), allo scopo di diffondere nel mondo il concetto di bioregione come punto di partenza per la sostenibilità, nonché le implicazioni culturali, ideologiche e di vita quotidiana che da esso derivano.

Da allora la teoria bioregionale ha destato l’interesse di scienziati, ecologisti, agronomi, ed economisti di tutto il mondo, è stata oggetto di critiche e confutazioni, dovute soprattutto “alla difficoltà di identificare dei criteri univoci per la delimitazione delle bioregioni”, ha ottenuto consensi e pareri favorevoli e, in tutti i casi, ha collezionato innumerevoli pagine nella letteratura specializzata di tutto il mondo.

Ad oggi, è possibile attingere a numerose definizioni di “Bioregione” e “Bioregionalismo”, fornite dalle più varie personalità mondiali e sulla base di approcci eterogenei. Nel complesso, si può affermare che tutti concordano nel sostenere che per “bioregione” si intende “un territorio non delimitato da confini politici o amministrativi ma da confini ‘oggettivi’ (ecosistemi naturali) e ‘soggettivi’ (identità sociali); quindi un’area geografica circoscritta da limiti fisici (bacino fluviale, catena montuosa) e da un’omogeneità ambientale e naturale degli ecosistemi (clima, suolo, flora, fauna) e delle caratteristiche sociali delle comunità locali (costumi,tradizioni, identità collettiva, senso di appartenenza al territorio)”.

Per quanto riguarda la definizione di “bioregionalismo”, la questione è più complessa: nelle intenzioni dei suoi fondatori, il bioregionalismo è una scelta di vita prettamente ideologica e radicale che comporta, in primo luogo, l’esperienza dell’ecologia profonda, dell’auto sostentamento e dell’autosufficienza, è la capacità degli abitanti di una bioregione di organizzarsi autonomamente e di reperire tutte le risorse di cui necessitano entro i confini della propria regione, annullando la pratica del trasferimento di risorse nello spazio e nel tempo ed estendendo, dunque, il concetto di sostenibilità all’intero ecosistema e non soltanto in riferimento all’ambiente naturale e alle sue risorse.

Un simile approccio appare, per certi versi, estremamente utopico e poco realizzabile in un mondo ormai globalizzato, ciò ha condotto alcuni studiosi a riformulare la definizione di bioregionalismo per mezzo di un approccio più pragmatico e meno radicale che vede “la sostenibilità globale del sistema planetario come sommatoria di una gestione sostenibile delle risorse naturali di un territorio da parte delle comunità locali”. Nell’ambito di una simile idea di sostenibilità, la scelta bioregionale non nega la prospettiva di uno sviluppo, purché sostenibile e che parta dalle scelte delle popolazioni locali, né preclude la possibilità di interazione con operatori economici esterni alla bioregione, purché avvenga secondo criteri di “buonsenso ecologico” fissati dalle popolazioni locali.

In entrambi i casi, comunque, il bioregionalismo prevede una scelta di vita che evita l’inquinamento e lo speco, che promuove la conservazione e il riciclaggio, che valorizza i prodotti tipici della regione, che adatta i sistemi produttivi ai caratteri ambientali del luogo e che, soprattutto, implica un ridimensionamento al livello locale della gestione delle risorse naturali, come punto di partenza imprescindibile per un qualsivoglia tentativo di sostenibilità ambientale.

In Italia il “movimento bioregionale” si è andato affermando agli inizi degli anni ’80 coordinato da un gruppo di attivisti riconducibili al giornale AAM Terra Nuova. Dopo un primo periodo di entusiasmo e di attività febbrile, l’interesse verso l’argomento cominciò a scemare per tornare alla ribalta dopo circa 10 anni grazie al lavoro di divulgazione operato da un’altra rivista, Lato selvatico, particolarmente devota alla filosofia del bioregionalismo, a cui si affianca Quaderni di Vita Bioregionale.

Bioregionalismo: la consapevolezza di sentirsi abitanti della Terra

 La Rete Bioregionale Italiana, che nasce nel 1996 ad Acquapendente (Vt), è  “un insieme di gruppi, associazioni, comunità e singole persone che condividono l’idea bioregionale e in prima persona, nel proprio luogo, si danno da fare per praticarla”. In breve tempo, la Rete, attraverso incontri periodici, diffusione di newsletter, pubblicazioni a vario titolo e contributi all’interno di riviste specializzate, diventerà il principale punto di riferimento nazionale per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, intendono intraprendere una scelta di vita bioregionalista.

Coerentemente con il carattere prettamente locale della pratica bioregionalista e, considerando che “l’idea bioregionale è ispirata dai sistemi naturali selvatici”, anche la struttura organizzativa interna della rete mira al decentramento della “gestione” eliminando figure che rivestano ruoli di coordinamento nazionale, ritenute poco utili, e limitandosi a costituire un Consiglio di referenti tematici formato da soggetti con qualifiche diverse, ognuno dei quali, secondo le proprie competenze, porta avanti le specifiche attuazioni del bioregionalismo.

Paolo D’Arpini,  Rete Bioregionale Italiana
bioregionalismo.treia@gmail.com 

Paolo D’Arpini all’incontro bioregionale del 2012 (Aprilia)